30 Settembre 2017 | Si può fare
Fatico a rimanere ottimista sul nostro futuro. Siamo entrati nella quarta rivoluzione industriale senza nemmeno accorgercene, come non ci si renderà conto che oggi le ore di luce saranno uguali a quelle notturne. Probabilmente non interessa a nessuno, inoltre sarebbe proprio uno spreco di tempo stare lì a compararle; tuttavia non è uno spreco spendere due parole per comprendere la portata di questa rivoluzione. A dire la verità, come Riccardo Staglianò, nel suo ultimo romanzo Al posto tuo. Cosi Web e robot ci stanno rubando il lavoro, edito da Einaudi, racconta non si deve andar troppo lontano per vederne gli effetti: basta andare in stazione a Cuneo a comprare il biglietto del treno alle macchinette (che non prendono i contanti, ma perché non prendono i contanti?). Gli sportellisti verranno sostituiti dalle macchine, gli operai verranno sostituiti dalle macchine, i call center verranno sostituiti dalle macchine. Verrà il momento in cui anche i cani saranno dei veri robot cosi almeno i bambini non saranno traumatizzati dalla loro morte.
I colossi dell’informatica puntano tutti sulla AI, intelligenza artificiale, così da poter dire di essere stati i primi a crearla e venderla a tutte le società come segretaria instancabile. Se pensate che questa idea sia ancora lontana, ricordo due fatti, di cui uno della mia infanzia: dalla pen-drive che funzionava da lettore musicale all’attuale smartphone sono passati solo 14 anni, neanche un lustro; durante la puntata di Report del 25 ottobre 2015 dal titolo rivoluzione 4.0, una società di programmazione aveva testato per 15 anni una AI capace di apprendere autonomamente dai propri errori, il quale, durante una chiamata reale con un utente, non è stato riconosciuto come programma, bensì come persona. Ora, senza fare i catastrofisti, non significa che il mondo si trasformerà in un Io robot dove il Will Smith di turno capeggerà una rivolta contro le macchine, bensì ci sarà il Will Smith di turno che capeggerà una rivolta contro il governo di turno, etichettato come incapace di prevedere ed attuare norme per contrastare questa rivoluzione. Il copione è sempre lo stesso, una nuova tecnologia entra in circolazione sostituendo personale umano, destabilizzazione sociale e rincorsa ad una nuova occupazione, si trova un equilibrio riscoprendo un lavoro che quella tecnologia non è in grado di sostituire o si crea una nuova esigenza nel mercato e la si soddisfa.
Dal momento che la macchina è in grado di fare lavori da operaio, c’è una rincorsa alla creatività e alla personalizzazione per poter sopravvivere. Le startup sono più improntate verso la risoluzione high-tech di problemi quotidiani che portano uno stipendio ad un numero minore di persone rispetto ad una fabbrica vera e propria, ma questo è naturale dato che per creare una azienda fisica bisogna avere capitali enormi con spese ammortizzabili dopo anni di attività sempre in positivo. Senza contare che se non si produce un prodotto nuovo e migliore rispetto alla concorrenza il positivo non si raggiunge, ma per far ciò ci vogliono conoscenze, anni di sperimentazione, il tutto concentrato in pochi anni poiché con la velocità e gli strumenti a disposizione tutti possono arrivare alle stesse conclusioni. Una lotta costante contro il tempo e contro tutti per il semplice pane quotidiano. Homo homini lupus direte voi, sarà sempre così, ma siamo arrivati al punto dove inizi a dire homo e già il lupus ti ha mangiato. Che fare di fronte a tutto ciò? Ti coalizzi, ovviamente, da soli non si può far nulla. Ecco il coworking che nasce, come le cooperative e le unioni aziendali. Queste sono le risposte che i miei occhi hanno visto crescere in questa epoca di transizione della quarta rivoluzione industriale. Come il telelavoro o lo smartworking. Comunque ciò che viene chiesto attualmente nel mondo del lavoro è avere competenze tecniche altamente specializzate che coprano più ruoli, così da prendere due piccioni con una fava. La vera risposta alla rivoluzione 4.0 è lo studio, sapere il più possibile. Inevitabilmente, però, a me sorge un dubbio: dato che il mercato del lavoro chiede sempre più tecnici specializzati per costruire e migliorare quelle macchine che andranno a sostituire i cosi detti “colletti bianchi”, chi non studia cosa andrà a fare? L’ennesima domanda da un milione di dollari a cui non so rispondere.
5 Luglio 2017 | Si può fare
“Tutte le rivoluzioni non si fanno a rischio zero”, Concita de Gregorio, durante l’intervista per la programmazione del servizio su Cuneo di Fuori Roma, non va per mezzi termini e ci dice subito le cose come stanno. ” Ciò che mi pare di aver compreso di voi cuneesi è che siete radicalmente legati alla prudenza, vivete in una isola felice e tendete a farla rimanere tale”. Non ha tutti i torti, le sue parole sono un bel fulmine a ciel sereno. Alla domanda ” raccontatemi un episodio della vostra vita nel quale avete rischiato per qualcosa” a dirla tutta non sapevo cosa rispondere. Beh, fondare un giornale cartaceo assieme ai miei amici a quanto pare non è abbastanza rischioso, quindi sono rimasto muto. Ho 22 anni, non ho ancora finito gli studi, per cosa devo rischiare? Devo dire, però, che questo fulmine ha fatto dei danni dentro di me. Ha innescato un continuo fluire di archi elettrici tra stomaco e cervello, uno dice all’altro”a stare fermi non si ottiene nulla”. Per cui immedesimato nello standard renziano di elettore del si mi sono fatto prendere dall’entusiasmo del momento e ho deciso di intraprendere il progetto di una mini-pala eolica. Ho scaricato diversi testi per completare la mia formazione sull’argomento e studi permettendo, cercherò di arrivare ad un progetto dettagliato. In tutto questa raccolta dati non è mai mancato il senso pratico e puntualmente, dando una prima occhiata ai titoli dei testi, la stessa domanda bussava alla porta: ma come la faccio diventare realtà? Ecco che compresi gli enormi ostacoli alla realizzazione, il peso grave delle moli di lavoro future. E se la mia idea fosse utile o rendesse più semplice la vita di qualcheduno? Cosa dovrei fare per saperlo? Dedico questo articolo a chi ha dei sogni nel cassetto, a chi si deve reinventare o creare poiché non ha ancora fatto nulla, sperando che vi sia utile almeno per comprendere quali sono i primi passi da compiere. Vestendo i panni di chi ha un progetto tra le mani, mi sono rivolto agli stessi promotori di questa rubrica, Ping, intervistando uno dei soci, Domenico Giraudo, proprio come se dovessi proporre loro il mio progetto di pala eolica. ( per chi non conoscesse Ping vi invito a leggere l’articolo di Anna Mondino sempre sul nostro sito)
Domenico Giraudo
Facciamo finta che questa sia la prima volta che ci siamo conosciuti e mi presento a te come una persona qualunque che ha una idea in mente. Saltando i convenevoli, ti presento la mia idea di pala eolica e ti chiedo come faccio a realizzarla. Tu cosa risponderesti?
Tutto dipende da che genere di idea si ha. Tutti credono che la propria sia la migliore in assoluto ma dimenticano che il mondo ha un passato e che siamo ,attualmente sulla Terra, circa 7 miliardi di persone. Ogni giorno vengono sfornate migliaia di progetti e centinaia di brevetti, le probabilità che altri abbiamo avuto la stessa intuizione sono alte come quelle che l’abbiano già realizzata. Per cui, innanzi tutto, si effettua una ricerca sui database dei brevetti nazionali e internazionali per capire l’orizzonte e lo sviluppo dell’ idea. Per farti capire vado a vedere tutte le pale di turbina o eoliche e verifico che la tua non sia già stata coperta da brevetto. Da ciò si può trarre due conclusioni, la prima è che se non ci sono riscontri sul database significa che o si ha avuto l’idea del secolo, o la propria idea non è realizzabile; la seconda riguarda la commerciabilità e l’esigenza del mercato, dato che, se sono pochi i brevetti, implica un ambito di nicchia e poca ricerca su quel campo. Sta di fatto che bisogna valutare la validità del progetto; appena valutato si può procedere nei passaggi successivi..
E quali sarebbero?
Beh, se la valutazione è positiva, la pala eolica diventa il centro di un business plan, in altri termini, non si può andare alla cieca senza avere in mente dove si vuole arrivare, quanto costa realizzare un prototipo, i fondi necessari per la produzione ecc. Si deve costruire la via da percorrere e purtroppo la sua pavimentazione è composta da denaro e conoscenze. Conoscenze che comunque bisogna pagare. O si è nel campo della progettazione e si conosce in primis tutte normative di sicurezza e di dimensioni, oppure si ha bisogno di un tecnico; a livello legale è necessario far riconoscere la propria idea e partire già con una deposizione di brevetto nelle situazioni che lo richiedono. L’iter è lungo, ma esistono luoghi come Ping, che sono in grado di dare una mano per costruire questo percorso.
Essere una startup agevola questo iter?
Essere una startup implica essere una impresa, ma non necessariamente è la via da percorrere. Concorrendo ai bandi europei e vincendoli ( per vincerli è necessario comunque un qualcuno che sappia interpretarli) si possono ottenere fondi e riconoscimenti a livello internazionale. Inoltre passare da acceleratori di impresa come noi significa andare in un luogo dove si può essere indirizzati a persone interessate di fronte a qualsiasi idea si voglia proporre, ma anche essere fermati prima che si spenda soldi inutilmente su progetti campati per aria. Chiunque voglia aprire una impresa, un locale, un emporio oggi va considerato come startup, non per forza deve essere associata solo alla tecnologia. Qui dentro accogliamo chiunque voglia fare un qualcosa e ha bisogno di una mano per partire. Ovviamente questo è un centro che offre un servizio, bisogna spendere e soprattutto rischiare per arrivare ad un risultato, ma questo non significa che siamo freddi nei confronti di chi ci chiede aiuto. Si può concordare una partecipazione nel caso l’idea piaccia, oppure ricevere finanziamenti dalla banca che ci supporta. Noi vorremmo aiutare, siamo nati per questo, ciò non toglie che sia necessario un auto sostentamento per poter continuare a dare una mano.
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Davide Ghisolfi
13 Giugno 2017 | Si può fare
Il duro lavoro ripaga sempre. Lo sanno bene, e ne stanno già raccogliendo i frutti, Alberto Dalmasso, Dario Brignone e Samuele Pinta, cuneesi di nascita, che lavorando per lungo tempo su una loro idea, sono riusciti a realizzarla grazie al loro carisma e talento. Di che idea sto parlando? Parlo di Satyspay, oramai S.p.A che si offre come nuovo metodo di pagamento elettronico, anche tra privati.
Mi sono sempre chiesto i motivi del loro successo, e ho deciso così di contattarli per un’intervista, che ho svolto a Milano nei loro nuovissimi uffici, dove sono arrivato carico di aspettative e felice come un bambino davanti ad un nuovo giocattolo. Appena entrato mi è tornato in mente il film Gli Stagisti con Owen Wilson e Vince Vaughn. Purtroppo, mancavano le poltrone-letto che tanto avrei voluto provare, date le poche ore di sonno. Tuttavia l’atmosfera di dinamicità e innovazione che mi ha trasmesso quel film l’ho rivissuta già dall’atrio. Davanti a me ho trovato una ventina di giovani al computer, che digitavano e nel frattempo mi scrutavano, tutto nello stesso momento.
Massimiliano Scrigner, che si occupa di Marketing & Business Intelligence nell’azienda e che ringraziamo per la sua cordialità e gentilezza, ha rotto subito il ghiaccio con un buon caffè, scortando me e Gabriele verso una delle salette riunioni. Ed è così che è iniziata questa intervista, con un caffè in mano e la sensazione di essere un pesce fuor d’acqua.
Mi imbarazza un po’ venire fin qui a Milano nella vostra sede per dirti che non ho ancora scaricato l’applicazione di Satispay. Per cui colgo l’occasione e ti propongo questa sfida, convincimi che sono in errore e devo rimediare al più presto.
Pensa a quando devi condividere una spesa con i tuoi coinquilini o devi fare un regalo in comune con i tuoi amici per un compleanno o una laurea. Raccogliere i soldi giusti è sempre difficile e finisce che pagano tutto in pochi per poi rincorrere i debitori. Con Satispay le cose diventano più semplici, dal cellulare puoi inviare i soldi in pochi secondi e non paghi la transazione. Non so, vai a fare aperitivo in un locale e, se è abilitato, puoi pagare comodamente da seduto senza il tramite di carte o codici da inserire. Inoltre non hai paura che non ti accetti il pagamento, diversamente dalle prepagate o carte di credito. Satispay è davvero comodo sulle piccole transizioni monetarie quotidiane, sei tu a fissare il limite massimo di soldi che puoi avere a disposizione ed ogni settimana automaticamente effettua un versamento o preleva dal tuo conto per ritornare alla soglia scelta. Lo troveresti tanto semplice quanto utile, soprattutto a Cuneo dove abbiamo una ottima collaborazione con il comune.
Attualmente non siete gli unici in Europa a portare avanti questi nuovi metodi di pagamento in moneta virtuale, cosa vi rende più competitivi rispetto alle altre start up?
Molte start up prendono le carte di credito, tolgono il supporto fisico e traferiscono il servizio sul cellulare. Secondo noi sbagliano poiché non c’è nulla di innovativo in tutto ciò. Il circuito in cui si muovono resta lo stesso delle carte ed è ancora quello vecchio degli anni ’50 che si porta dietro il retaggio dei costi e delle commissioni che non riesce a smaltire da sé, e che di conseguenza ricadono sull’esercente e sull’utilizzatore finale. Non c’è alcuna innovazione, inoltre se al bar prima non accettavano pagamenti con carta, anche se è sul cellulare il circuito è lo stesso, dove sarebbero i vantaggi? I fondatori di Satyspay hanno lavorato 2 anni per pensare al sistema di trasferimento di denaro in un circuito diverso da quello delle carte, che utilizza direttamente il proprio conto e codice IBAN per i trasferimenti. Non vi è alcun costo sull’utente, mentre l’esercente per i pagamenti dell’utente sopra i 10 € paga una commissione di venti centesimi. Inoltre anche l’attivazione per entrambi è gratuita e rimarrà tale per tutte le realtà a cui andremo incontro durante la nostra evoluzione. Questo ci permette di essere competitivi sul mercato.
Quindi siete convinti di potervi fare strada anche in Europa, giusto?
Lo spostamento della nostra sede legale (da Milano a Londra ndr) parla chiaro, l’internazionalizzazione è uno dei nostri obiettivi. Lo abbiamo fatto per avere gli strumenti per entrare nel mercato europeo per rientrare negli standard legislativi richiesti. Per cui è nato Satispay Limited, istituto di moneta elettronica con licenza concessa dalla FCA (Financial Conduct Authority, ente che ha il compito di regolamentare i mercati finanziari, fornendo servizi ai consumatori e vigilando sui mercati finanziari britannici) che ci permette di essere riconosciuti negli stati membri come metodo di pagamento sicuro. Anche se abbiamo fatto i compiti a casa, per quest’anno punteremo ancora sull’Italia, vogliamo essere presenti in più esercizi su tutta la penisola. Dopo di che si potrà già seriamente pensare di introdurci in Germania e Francia, paesi molto più simili al nostro per quanto riguarda la mentalità in fatto di moneta.
La comodità per i piccoli locali commerciali, come bar e ristoranti è fuori discussione. Per diventare un metodo di pagamento universale è necessario, però, interfacciarsi anche con i grandi Brand, le multinazionali e in generale grandi catene. Come affronterete il problema?
Ci stiamo già lavorando. Innanzitutto, l’esperienza della promozione di Satispay nei piccoli esercenti ci ha permesso di sviluppare e comprendere le esigenze dei clienti. Il problema principale delle grandi catene è che, avendo dovuto sviluppare casse standard da dare in dotazione ai propri esercizi per questioni fiscali e di contabilità, l’utilizzo della sola applicazione su cellulare non risultava efficiente. Abbiamo così iniziato a sviluppare interfacce software anche per i loro sistemi informatici, in modo che risultasse comoda l’acquisizione di denaro dalla vendita. Ora siamo in grado di poter offrire i nostri servizi per l’80 % dei sistemi di cassa principali sul mercato. Inoltre, ci stiamo muovendo anche nell’e-commerce, dove lasciando semplicemente il numero di cellulare sui siti convenzionati, il pagamento potrà essere svolto senza inserire codici di carte o passare da Paypal. Basterà dare conferma dall’applicazione e il gioco è fatto. Si potrà anche pagare i parcheggi direttamente dal cellulare o le corse in taxi. Il nostro sistema è talmente versatile che è adattabile a tutte le richieste.
Prossimamente sarà possibile effettuare le ricariche telefoniche con qualche click, direttamente dall’applicazione, tramite la piattaforma Paymat.
Avete mai avuto pressioni da parte di banche o colossi finanziari a causa della vostra idea? Data la vostra competitività starete rubando una buona fetta di mercato.
In verità no, non hanno alcun appiglio legale per impedirci di svilupparci. All’inizio le banche pensavano di poter elaborare un metodo innovativo per loro conto, basandosi sulla loro esperienza invece che sulla tecnologia. Dato che non ci sono riuscite, ora stanno facendo molta attenzione al nostro operato, contattandoci per possibili collaborazioni. Bisogna dire che, invece di ostacolarci, sono state anche le banche a darci dei contributi, come la Banca Alpi Marittime e Iccrea Banca.
Parliamo del sud Italia, state trovando difficoltà a diffondervi nel meridione?
Beh, fino ad ora non ci sono stati problemi. Nella maggior parte dei casi per diffonderci in una nuova città sfruttiamo l’iniziativa di una banca di credito locale. Come vedete dalla mappa degli esercenti (intende la foto che vi mostro qui sotto), sia a Bari che a Napoli abbiamo un buon numero di locali commerciali; come anticipato prima, per il 2017 il nostro obiettivo è lavorare bene in tutta Italia, siamo alla conquista di Roma e a poco a poco aumenteremo i pallini rossi anche in Sicilia ed in altre regioni del sud. In genere, ovunque la promozione della nostra attività viene incrementata riusciamo a diffonderci bene, che sia sud o nord.
Cosa ci riserverete per il futuro? Sarà possibile avere come soglia massima una cifra superiore ai 200 euro? Penso ai miei genitori che quella cifra la spendono in una settimana per sostenere le spese di tutti i giorni.
Vogliamo testare nel prossimo futuro diverse opzioni tra cui i pagamenti post datati e rateizzazioni attraverso Satispay dove noi ci facciamo garanti del pagamento. Con la stessa filosofia stiamo pensando anche ad una opzione di credito al consumo, ma sono tutte ipotesi a cui stiamo lavorando, come all’estensione della soglia massima. Adesso se si fa richiesta formale possiamo estenderla fino a 500 euro, ma non vogliamo che sia una opzione automatica per il momento. Sceglieremo un campione fidato e testeremo tutte le opzioni e poi si vedrà. Sta di fatto che ci stiamo avvicinando sempre di più ad una modalità di pagamento sempre più versatile ed efficiente.
Ultima domanda. Come sei entrato a far parte di Satispay? Come sono questi cuneesi rivoluzionari?
Io ho una storia un po’ particolare con loro, li ho conosciuti 4 anni fa durante una convivenza per qualche mese. Io lavoravo mentre loro avevano Satyspay ancora da far partire, era ancora solo un’applicazione su mobile, non avevano ancora fondi e non sapevano dove sarebbero andati a parare. Subito l’idea mi piacque, vedevo l’innovazione dietro la loro idea, diversamente dalle start up presenti in quei anni. Poi ci perdemmo di vista, fino a che non andai a continuare i miei studi a Torino. Lì li ritrovai con gli uffici di Satyspay e conoscendoli meglio mi innamorai del loro prodotto. In più un master sull’economia digitale mi fece capire che quella era la strada giusta per me e così eccomi qua. Loro sono eccezionali, hanno dovuto studiare molto, due anni di preparazione solo per l’applicazione. Ancora adesso certe volte fatico a capirli durante una riunione! Sono entrati in un mercato molto potente e ne sono usciti vincitori, ma per far ciò non si sono mai fermati davanti alle difficoltà ed hanno saputo aspettare.
Con la collaborazione di Gabriele Arciuolo
7 Maggio 2017 | Si può fare
Questa è la storia di un litro di olio di nome Esausto. Un olio qualunque, che non si distingue dalla massa degli altri oli, né è ricercato come quello Extra vergine, insomma è un idrocarburo tranquillo, di quelli che pretendono poco dalla vita, solo di stare alla luce del sole. Lo conoscete anche voi, di solito viene a trovarci tutte le volte che a cena o a pranzo si decide di preparare le patatine fritte o una frittura di pesce. Non mangia, ne viene mangiato. Sta buono in padella e poi se ne va accompagnato cordialmente all’uscita secondaria, quella bianca in porcellana del bagno di casa. Saluta con un “plof” e segue lo sciacquone nella rete fognaria. Nel buio delle tubature cerca di uscirne, galleggia, se può, sulla superficie e si fa trasportare dalla corrente. Esausto non sa cosa fare, è impotente di fronte a quel flusso di acque reflue, diventa sempre più piccolo a causa delle crepe che lo catturano. Consumato dal lungo tragitto, rivede la luce in vasche all’aperto. Percosso da griglie e filtri, finalmente galleggia in tranquillità, una calma apparente come quella che prova un naufrago su una chiatta nel bel mezzo dell’oceano. Ed in questa calma che si rende conto che il sole di fa sempre più vicino – non potrebbe chiedere di meglio- catturato da bolle d’aria miste a saponi (tensioattivi) vola via nella vasca accanto, non consapevole del fatto che questa sarà l’ultima volta che potrà riveder la stella a noi tutti tanto cara.
Una storia, in effetti, senza capo ne coda. L’ho scritta per stimolare l’attenzione riguardo l’olio da cucina che normalmente scarichiamo nel water. Vi siete mai chiesti dove va a finire e se può causare problemi? Devo ammettere che pure io l’ho mai fatto, è un gesto che ho sempre fatto sovrappensiero prima di mettermi a lavare le stoviglie. Neppure mi sono mai posto il problema di come vengano trattate le acque con i nostri escrementi o quelle del lavandino ed ,allora, me lo sono immaginato il viaggio dell’olio scaricato nel water. Senza andare troppo nei dettagli, basta un semplice ragionamento per comprendere che, se la vita si basa sul’acqua, l’olio, che è il suo opposto, non aiuta di certo la natura. Blocca tutti quei meccanismi che si attivavano con l’acqua, anche soltanto il reperimento delle materie prime di una radice. Se ci sono delle perdite nelle tubature, gli oli miscelati con le acque fuoriuscite si infiltrano nel terreno e raggiungono le radici delle piante o falde acquifere contaminandole. Non aiuta neanche le macchine progettate per pulirle, dato che l’olio si pone sulla superficie delle vasche di sedimentazione e non permette le reazioni chimiche per trattarle. Questo impone un passaggio in più nel processo, che implica costi di manutenzione e costi di smaltimento, che ricadono su di noi. Lo stesso vale per la raccolta ecologica, se fatta bene permette di abbassare i costi di smaltimento dei rifiuti dato che possono essere venduti alle aziende. Il rifiuto è una risorsa da sfruttare, come è il caso della MPOLI s.r.l., azienda creata dal Geometra Perletto Massimo nel 2012 che permette la raccolta degli oli esausti e li trasforma in lubrificanti, saponi e altri prodotti sfruttando le conoscenze acquisite dalle ricerche che ha condotto sui vecchi metodi per la produzione di saponi e detergenti in passato. Dato che il riciclo non puo’ che essere l’unica strada per poter mantenere il nostro stile di vita, impostare un idea di impresa in questo campo non può che assicurare un business che non andrà a perdersi. Come sempre vi invito a farvi dare una mano da PING in piazza Foro Boario, sapranno dare voi una mano a svolgere i primi per la vostra impresa ed estendo l’invito ad informarvi nel sito http://www.mpoli.it/default.aspx per raggiungere il contenitore per gli oli esausti più vicino a voi. Pensatela come un modo per spendere di meno nel vostro futuro, più che una scocciatura nel vostro presente.
14 Aprile 2017 | Si può fare
Non so cosa ci riserverà il futuro. Con la comparsa di queste intelligenze artificiali che tra breve sostituiranno cassieri e segretarie, la continua automatizzazione dei processi industriali e la ricerca su automi che replicano lavori quotidiani come pizzaioli o camerieri, sembra quasi che ci stiamo pestando i piedi da soli. Anche da ingegnere non riesco a trovarlo affascinante, soprattutto se il fine ultimo di questo avanzamento tecnologico è creare un qualcosa che non porterà ad un miglioramento sociale. Do ragione a chi lo difende e lo fa argomentando la loro tesi attraverso il discorso della sostituzione di lavori pesanti/pericolosi o di arti mancanti, ma rimane il fatto che se si riuscisse a realizzare un robot con le capacità micromotorie di noi esseri umani, moltissimi lavori, dalla sarta allo scaricatore di merci, sarebbero a rischio. A chi mi contesterebbe dicendomi che si formerebbero nuovi lavori che le macchine non potrebbero svolgere sfruttando la nostra creatività, io risponderei facendogli ricordare che la creatività al massimo farebbe mangiare poche famiglie ad ogni nuova attività creativa dato che il lavoro manuale sarebbe sostituito da robot. Un ragionamento molto complesso che non continuo dato che si basa su assunzioni di pura immaginazione. Ciò su cui vorrei focalizzare l’attenzione è, invece, che in un modo o nell’altro si dovrà convivere sempre di più con automi e macchine, per cui bisognerà sapere come affrontare la situazione nel ruolo di direttore di impresa. Con questo spirito, Tim Leberecht, scrittore e fondatore di Leberecht&Partners, Agenzia di consulenza per aiutare le aziende a diventare più umane, anima una conferenza TED talking spiegando come fare a mantenere vive le relazioni con i propri dipendenti in questa era di automatizzazione. Tim spiega che, di fronte al meccanicismo delle produzioni, l’unico modo per mantenerle sono 4 principi che l’azienda deve possedere:
- Fate il superfluo, non pensare che tutto ciò che si possa fare per rallegrare o migliorare la vita dei propri dipendenti sia inutile, esso ci distingue dalle fredde macchine di produzione o intelligenze artificiali.
- Creare intimità, permette di stringere i legami e di unificare i rapporti per collaborare ed avere un obiettivo comune, soprattutto tra dirigenti e personale. Perché le gerarchie creano barriere.
- Siate Brutti e con essere brutti si intende essere veri, non mettere maschere e non abbellite situazioni o luoghi forzatamente per nascondere la verità.
- Siate incompleti, cioè le più belle aziende sono quelle che si avvalgono di una idea, un motto che non sia mai obsoleto e che le spinga a migliorare senza mai raggiungerlo completamente.
Per quanto soggettive penso che siano principi che possiamo trovare in tutte le grandi aziende con la A maiuscola. Pensate alla Ferrero o alla Merlo, dietro ad ogni grande realtà imprenditoriale migliorare la vita dei propri lavoratori offrendo servizi, come mense e asili nidi, sia alla base per renderla longeva e stabile. Quando finii di vederlo mi soffermai a pensare che Ping, pensare in Granda, alla luce di queste idee di umanizzazione, non vuole soltanto dire pensare in grande, ma anche pensare da cuneese ed io sono convinto che non sia necessario esporre queste regole ai miei compaesani dato che in cuor mio sono sicuro che, come me, sono cresciuti con gli stessi miei principi di altruismo e solidarietà. Detto ciò, come dice sempre il mio professore, un ripassino non fa mai male.
Troverete tutto l’intervento alla conferenza di Tim Leberecht sottotitolato in italiano al seguente link: