25 Maggio 2018 | Vorrei, quindi scrivo
50 anni fa era il maggio del ’68. Le sue nozze d’oro sono state celebrate in ogni modo dai giornali, dalla televisione e da ogni forma culturale.
Questo romanzo, pubblicato 22 anni prima di quegli eventi, però non parla del maggio di Parigi o della rivolta di Praga. Da ogni pagina di questo libro però evapora uno spirito rivoluzionario, quello di Zorba che ha cambiato la vita dell’autore Nikos Kazantzakis e che ha ispirato quest’opera.
È un testo che trasformerà ogni lettore e che ha trasformato me: cosa c’è quindi di meglio per ricordare una rivoluzione che rivoluzionarsi?
Zorba il greco è la storia di un’amicizia. Il protagonista che ci racconta la vicenda, un intellettuale che rappresenta lo stesso Kazantzakis, incontra per caso in un locale di porto Zorba, un uomo di mezz’età, un «crapulone, beone, lavoratore instancabile, donnaiolo e zingaro». Questi si unirà al viaggio del narratore a Creta, dove ha comprato una miniera di lignite per stare in contatto con gli operai, con le persone più umili. Nella magnifica isola greca i due troveranno ospitalità presso l’albergo dell’anziana Madame Hortense, nient’altro che una fila di cabine da spiaggia. Qui sogneranno il proprio progetto per la miniera e cercheranno di realizzarlo. Zorba s’infatuerà di Madame Hortense e si consumerà la relazione fra «il vecchio capitano» e «Bubulina». E il letterato idealista, timoroso, tormentato imparerà a conoscere e ad amare Zorba l’avventuriero, il guerriero, il suonatore e l’amante durante lunghe discussioni, dalla patria alla religione, dall’amore alla morte.
Immerso nella natura mediterranea selvaggia ed incontaminata, rigogliosa di profumi e colori, e nella gente semplice, spontanea, piena di difetti e passioni, il protagonista imparerà da Zorba a vivere la vita a pieno, istante per istante, «come dovesse morire da un momento all’altro». Capisce di dover lasciare stare Buddha, l’opera che tentava di scrivere, la lettura di Dante. Zorba gli insegna a mandare al diavolo Dio, la religione, la morte, tutto. Sulle spiaggie cretesi gli mostrerà come ballare incurante di tutto, una danza che è partecipazione piena all’esistenza, vitalità assoluta. Così vivrà le proprie passioni, le consumerà fino in fondo, fino a capire la vera natura dell’uomo, fra imprevisti e lutti improvvisi.
In quest’opera si sente tutta l’influenza su Kazantzakis di Nietzsche, che lo stesso autore enumera fra le persone che hanno lasciato l’impronta più profonda nella sua vita. Zorba rischierebbe di essere letto solo come manifestazione letteraria del superuomo, ma così non è. Nella prefazione l’autore afferma: «Nietzsche mi ha arricchito di nuove angosce e mi ha insegnato a trasformare la sventura, l’amarezza e l’incertezza in orgoglio, e Zorba mi ha insegnato ad amare la vita e a non temere la morte». Nietzsche e Zorba sono quindi due figure ben distinte: Zorba raffigura una persona realmente esistita che ha avuto una grande influenza sullo scrittore greco e, inoltre, se Nietzsche rappresenta la fonte delle domande, Zorba è la risposta vivente ad esse. Zorba infatti è uno spirito puro, un’intelligenza profonda non corrotta dalle risposte preconfezionate della cultura. Una persona libera da convenzioni sociali, analfabeta ma profondamente filosofica. La sua forza vitale e la sua intuizione lo spingono avanti, permettendogli di trovare risposta alle questioni che affliggono anche l’autore, senza ricorrere però ai libri, ma ricercando soddisfazione nella vita stessa, vissuta con passione e liberamente. Il solo posto in cui, se ci sono, possono esserci.
«Il grido più libero che io abbia mai conosciuto in vita mia». Così parla Kazantzakis di Zorba.
Se non è questa una rivoluzione!
Articolo di Pablo Lavalle
13 Novembre 2017 | Vorrei, quindi scrivo
“Tutte le cose tornano indietro” è la stampa che quello sconosciuto aveva sulla maglia. La indossava mentre, sorseggiando il suo caffè, scendeva dalla metropolitana. Visto il mio irrefrenabile desiderio di dover trovare un significato più o meno filosofico a tutto, mi sono chiesta “ma è vera questa cosa?”.
Così mi sono ritrovata a girovagare con la mente, fantasticando sui vari significati della frase e pensando se fosse effettivamente vero che tutte le cose che si fanno nella propria vita torneranno prima o poi indietro positivamente o negativamente, in stile boomerang. A dire il vero questa realtà, in caso esistesse, mi spaventerebbe alquanto. Vorrebbe dire che ogni singola decisione, e dunque ogni singolo sbaglio, torneranno ad influenzare il futuro. Potrebbe andare bene o no, dipende dal passato e dalle scelte fatte.
Ma in che modo si può pensare al futuro? Come una realtà basata e plasmata unicamente sulle scelte fatte in passato oppure una realtà che può includere anche colpi di scena e che ci permette di prendere decisioni anche al di fuori dei nostri schemi?
In realtà non ci ho mai pensato. Ho sempre vissuto la mia ancor giovane esistenza facendo cose che mi piacciono, senza preoccupazioni o affanni che non mi permettessero di fare scelte… ma ora che ho iniziato l’università tutto il mio mondo di certezze è crollato. Mi ritrovo a pensare in continuazione se la mia scelta sia esatta, se ci sia qualcosa di più adatto a me o se sia sicura di ciò che voglio fare. Sono perennemente assillata dalla paura di sbagliare, di perdere un anno o di imbattermi in qualcosa da cui non riuscirò più a venire a galla.
Resta il fatto che la felpa di quel ragazzo non ha aiutato la mia ansia da matricola del primo anno. È ovvio che la scelta che faccio adesso condizionerà la mia vita per sempre e che iniziando un percorso poi è difficile cambiarlo più avanti, ma allo stesso tempo non è detto che non succeda qualcosa di improvviso che possa scombussolare tutto. Conosco un geologo che è proprietario di un’azienda, un ragazzo che era ingegnere e ora fa il radiologo in ospedale, un aspirante medico che ha deciso poi di fare l’architetto. Quindi non si sa mai cosa possa riservare il futuro.
Allo stesso tempo però mi rendo conto che quella scritta sulla felpa è in parte molto vera. Se nella vita non si conclude nulla non si può pretendere di arrivare in alto, quindi “torna indietro” la scelta di essere stati pigri e svogliati. Se al contrario si è stati determinati e aspiranti, si otterrà una buona ricompensa.
Un filosofo del XX secolo che aveva basato le sue teorie interamente su questo concetto: scegliere. Egli sosteneva che la scelta sta prima di tutto il resto e che gli individui sono dovuti a scegliere in continuazione, per questo vivono con l’ansia del futuro e con l’incertezza della decisione giusta o, purtroppo, anche sbagliata.
Non è però ingiusto vivere con il dubbio? Partire già pensando di aver sbagliato? Rinunciare in partenza a qualcosa perché si ha il presentimento che non sia adatto per noi? Io credo che sia anche giusto seguire la teoria del famoso “carpe diem”, seguire l’istinto senza porsi troppe paranoie e poi modifica il tuo percorso mentre lo stai vivendo. Forse sono troppo sognatrice, ma penso sia meglio vivere il momento invece che proiettarsi in continuazione nel futuro.
Quindi una risposta alla felpa di quel ragazzo potrei avercela. Nulla torna indietro perché ciò che è passato ormai fa parte di te e ciò che è futuro è ancora da decidere. Sicuramente le scelte fatte determinano delle conseguenze, ma nulla è sicuro perché non c’è un destino già scritto.
È compito di ognuno di noi crearselo seguendo i propri sogni e scegliendo a cuor leggero.
Letizia Ricchiardi
31 Ottobre 2017 | Vorrei, quindi scrivo
Mi sembra giusto precisare innanzitutto che prima di leggere Passeggeri notturni io sapevo a malapena chi fosse Gianrico Carofiglio. Da buona letterata quale sono, ero totalmente all’oscuro del suo lavoro di ex magistrato e di politico. Lo avevo sentito nominare invece un paio di volte in veste di scrittore. Avendo intuito che fosse un autore di romanzi gialli, genere che mi piace davvero poco, non mi ero interessata ulteriormente. Ora, dopo la lettura di Passeggeri notturni, mi sono informata meglio (d’altronde, ogni libro letto apre un mondo nuovo di interessanti ed utili conoscenze collaterali) e ho scoperto che Carofiglio ha inaugurato un nuovo filone della narrativa italiana, quello del thriller legale, esordendo nel 2002 con il volume Testimone inconsapevole. Per di più, i suoi romanzi hanno vinto numerosi premi, tra cui il premio Bancarella nel 2005 per Il passato è una terra straniera e il premio Piero Chiara nel 2010 per la raccolta di racconti Non esiste saggezza. Dunque, un personaggio sicuramente rilevante nel panorama letterario italiano dell’ultimo periodo.
Passeggeri notturni (Torino, Einaudi, 2016) mi è capitato tra le mani per caso; non si tratta di un romanzo, bensì di una raccolta di trenta brevi scritti, tra cui saggi, interviste, discorsi, riflessioni, aneddoti dello scrittore in diversi momenti della sua vita quotidiana. Di solito, per mio gusto, non mi piace leggere raccolte di racconti o comunque brevi episodi che si concludono in fretta. Amo invece i romanzi lunghi, in cui la storia si sviluppa con calma ma nello stesso tempo sa coinvolgere il lettore fin dalle prime pagine. Eppure, questo volume ha catturato la mia attenzione immediatamente: sarà perché, a mio parere, ogni breve scritto racconta sì un episodio quotidiano, ma racchiude anche in sé una specie di lezione di vita. Soprattutto, alcuni saggi permettono di osservare la quotidianità da un’altra angolazione, facendoci constatare così che non avevamo mai considerato quella determinata situazione sotto quel punto di vista.
Mi spiego meglio: nello scritto Aria del tempo, Carofiglio racconta di aver partecipato all’inaugurazione di una galleria d’arte. La mostra è intitolata Colori ed essenze; ad un certo punto, prende la parola una signora che fa la creatrice di profumi, e l’autore riporta il suo discorso. Grazie ad esso e tramite le parole di Carofiglio, noi lettori possiamo riscoprire la potenza della memoria olfattiva; un aspetto della nostra umanità che sicuramente non consideriamo tutti i giorni. Eppure, la memoria olfattiva è “la più potente di tutte”, e ci permette di tornare molto indietro nei nostri ricordi, se solo sapessimo allenarla a dovere. L’autore spiega infatti alcuni metodi per utilizzare questa grande risorsa del corpo umano.
Oppure, l’autore racconta di aver viaggiato una notte in treno (proprio come un “passeggero notturno”) e di aver avuto una compagna di cuccetta che ha pianto a lungo nella notte e ha recitato alcuni versi che sembravano appartenere ad una poesia sconosciuta: “Vivere è stare svegli, e concedersi agli altri, dare di sé sempre il meglio, e non essere scaltri”. Anni dopo, a casa di amici, Carofiglio ritrova la poesia su un libro abbandonato sul tavolo e scopre che si tratta di una poesia di Angelo Maria Ripellino. Questo episodio aiuta il lettore a comprendere come in ogni momento della nostra vita quotidiana ci imbattiamo in persone che hanno una storia profonda e a cui dobbiamo portare rispetto, perché grazie a loro possiamo sempre scoprire qualcosa che prima non conoscevamo.
Mi fermo qui con il raccontare i brevi scritti, ma ribadisco infine che Passeggeri notturni è un libro semplice, veloce da leggere ma allo stesso tempo illuminante, profondo e a tratti ironico. Paragonerei l’intero libro proprio ad un koan. Ne parla l’autore nel saggio Epitaffio: si tratta di un breve scritto tipico della pratica zen che aiuta a cambiare il nostro sguardo sulle cose. Ad esempio: “Come facciamo a dire che un rumore è esistito se nessuno lo ha sentito e dunque nessuno è in grado di raccontarlo?”. La realtà ha molteplici risposte: siamo noi che dobbiamo diventare capaci di non fossilizzarci su quelle che conosciamo, ma di saperne trovare sempre di nuove.
Chiara Armando
9 Ottobre 2017 | Vorrei, quindi scrivo
Ultimi giorni per poter visitare l’incredibile progetto artistico di GPL, un delicato nastro di memorie lungo più di 300 metri che attraversa le antiche stanze della Cavallerizza Reale.
Già diverse centinaia di persone si sono immerse in questo incredibile progetto racchiuso in un patrimonio dell’Unesco come la Cavallerizza. Sui tre spazi di questo stupendo palazzo del regno sabaudo è stato srotolato un lungo nastro in foglio di alluminio che per oltre trecento metri attraversa i diversi luoghi dell’edificio, sia nell’interno che sulla facciata, creando così un anello che unisce diciotto oggetti, memorie di lontane presenze che abitarono questo edificio.
Negli anni la stratificazione delle presenze nella maestosa Cavallerizza Reale è stata particolarmente varia, ora un lungo nastro argentato ne raccoglie diciotto presenze, rappresentate da un piccolo manufatto rappresentativo. Una spilla, un orsetto, un fiore di plastica sono alcuni degli oggetti che in forma archeologica ritornano “a vivere” in questo luogo antico.
Ora questi articolati locali sono nuovamente vissuti attraverso il progetto GPL (Grandi Progetti Leggeri) che Anna Ippolito e Marzio Zorio hanno attivato in collaborazione con la sezione delle Arti Visive della Cavallerizza Irreale.
Il progetto è il primo di una rassegna che si svilupperà nei prossimi mesi con iniziative uniche ed irripetibili.
Un incredibile idea dell’artista Domenico Olivero, ideatore dei 300 metri di nastro in alluminio che passano nelle decine di stanze, creando un percorso circolare.
Le relazioni fra lo spazio e il progetto creano un’atmosfera diafana che sensibilizza le nostre memorie.
Orario apertura Sabato e Domenica dalle 15,30 alle 18,30, dal Martedì al Venerdì GPL è aperto su richiesta telefonando ai numeri +39 338 1426301 / +39 349 715 7404, ingresso libero, fino al 15 Ottobre 2017.
Altre info e foto al sito http://piueventi.blogspot.it/2017/07/rassegna-gpl-grandi-progetti-leggeri.html
21 Luglio 2017 | Vorrei, quindi scrivo
Sanremo è per lo più conosciuta come la città del Festival della canzone italiana. Eppure, per chi avesse voglia di visitare e conoscere questo splendido comune della riviera del Ponente ligure, scoprirebbe che Sanremo è ricca di arte, di cultura, di storia. Non solo spettacolo e lusso come si potrebbe pensare, dunque.
Se vogliamo partire dalla storia, infatti, il centro storico della Pigna merita sicuramente una visita: nucleo originario della cittadina, esso si aggrappa alla collina in cima alla quale domina l’imponente santuario della Madonna della Costa. Per il turista coraggioso, si consiglia di scalare (perché di scalata si tratta) i ripidi carruggi, tipici vicoletti dei borghi liguri, senza dimenticare di dare un’occhiata verso le case alte e strette, spesso semi abbandonate, ma ancora collegate da archi e volte. Ogni tanto si apre una piazzetta, dove dominano palme o ulivi, o dove si affaccia un piccolo negozietto o un ristorante tipico. Una volta in cima, una lunga salita porta infine al santuario. Da lì, finalmente, il turista si gode il premio della scalata: una splendida vista di tutta Sanremo, con il Porto Vecchio e Porto Sole.
A proposito di Porto Vecchio, esso racconta un altro pezzo di storia di Sanremo: il rapporto con il mare è infatti essenziale per la città fin dal Medioevo, quando la navigazione marittima divenne un punto di forza. Si può scendere fino a livello delle barche dei pescatori e si può osservare da vicino il loro lavoro, silenzioso, paziente, senza tempo.
Proseguendo oltre Porto Vecchio, ecco che compare alla vista un massiccio fortino: il Forte di Santa Tecla, che si affaccia imponente sul mare, venne costruito dai Genovesi nel corso del Settecento per tenere sotto controllo la zona e per consentire lo sviluppo della città. Fino a poco tempo fa era adibito a carcere, ma di recente il complesso è stato ristrutturato e vi si allestiscono conferenze e mostre. Ad aprile ho visitato proprio qui un’interessante mostra dei disegni di Libereso Guglielmi, giardiniere di Italo Calvino e botanico di fama internazionale.
D’altronde, Sanremo è anche la città di Italo Calvino: qui lo scrittore trascorse la sua infanzia e adolescenza, frequentò il liceo in Piazza Nota. Villa Meridiana e il suo splendido giardino sulla collina sanremese sono stati fonte di ispirazione per “Il barone rampante” e Sanremo stessa, come ha rivelato Calvino, rispunta in numerosi scorci de “Le città invisibili”.
Oltre al centro più modaiolo e commerciale, che si snoda su via Garibaldi, Piazza Colombo, via Matteotti (sulla quale si affaccia il Teatro Ariston e il Casinò), via Roma e piazzetta Bresca (ricca di locali notturni e ristoranti, oltre che ritrovo fisso dei giovani sanremesi), il turista non può perdersi una biciclettata sulla lunga pista ciclabile. Essa è stata ricavata dal percorso della vecchia ferrovia, che un tempo passava in mezzo alle case del centro, ma che, da qualche anno, è stata spostata più internamente. La pista ciclabile parte da Ospedaletti (che si trova tra Ventimiglia e Sanremo) e prosegue fino a San Lorenzo al Mare, per un totale di 24 chilometri. Tra gallerie e paesaggi marini meravigliosi, ogni tratto della pista ciclabile è unico, e la si può percorrere in bicicletta, a piedi o in risciò. Non mancano ovviamente numerose spiagge, libere e private, in cui godersi il mare della riviera di Ponente.
Per conoscere Sanremo anche attraverso i suoi sapori, tra le specialità gastronomiche locali si deve assolutamente provare la sardenaira, una specie di pizza con pomodoro, olive, capperi e aglio; la torta verde, una torta salata con riso, zucchine o piselli o carciofi; il classico e immancabile coniglio alla ligure; e per finire, i baci di Sanremo.
Poliedrica e sempre sorridente, ricca di profumi liguri ed esotici, Sanremo è certamente una meta turistica, ma resta una città da scoprire e riscoprire sempre: sorprende ogni volta che si tenta di conoscerla meglio, e non è mai uguale a se stessa.
Voglio avvertire il turista: a Sanremo, spesso e volentieri, ci si lascia il cuore.
Chiara Armando