Lo sport nel 2018: 12 consigli culturali per viverlo al meglio! (I parte)

Benvenuto 2018. Anche noi appassionati sportivi abbiamo accolto con grande entusiasmo il nuovo anno. Quello delle Olimpiadi invernali e della speranza Ferrari in Formula Uno. Quello del centunesimo Giro d’Italia. Quello che avrebbe dovuto essere delle notti mondiali in estate. Quello che, infine, celebrerà i cinquant’anni dalle Olimpiadi di Città del Messico, tra le edizioni più concitate della storia.
Proviamo ad accoglierlo segnandoci su un immaginario calendario gli appuntamenti da non perdere, usando come penna una qualsiasi produzione, un libro, un film, una canzone, che possa ricordarlo. 12 contenuti per 12 mesi, adatti per stimolare in noi le giuste emozioni in vista di quegli eventi. Partiamo dal primo semestre che ci attende, tra motori, pedalate, neve e sport di squadra.

Gennaio
Mese di attesa, come sempre e più che mai, perché preludio all’edizione 2018 dei Giochi Olimpici invernali, che avranno sede a PyeongChang a febbraio, incrociando ancora una volta grandi tematiche socio-politiche internazionali, come spesso hanno fatto nella loro storia. Gennaio mese freddo e di ricordo. 31 giorni che hanno nella data del 27 un punto cruciale per la Memoria, con la M maiuscola. Ecco perché il primo input è un libro: la storia di Matthias Sindelar, “il Mozart del pallone”, morto in circostanze sospette a soli 36 anni nel 1939 per avvelenamento da monossido di carbonio nella sua abitazione austriaca. Fuoriclasse del “Wunderteam”, una delle più grandi nazionali di sempre, non si piegò mai alle leggi razziali e all’avvento del nazismo a Vienna, pagando sulla propria pelle quella scelta. Morì, ma il suo ricordo, di campione e persona vera, non è mai tramontato.
Consigliato: Nello Governato, La partita dell’addio. Matthias Sindelar, il campione che non si piegò a Hitler, Arnoldo Mondadori Editore 2007.

Febbraio
Eccole, le ventitreesime Olimpiadi dell’era moderna, segnate dalle grandi speranze azzurre e dal possibile disgelo tra la Corea del Sud, ospitante, e la Corea del Nord. Caricatevi con il più bel trionfo azzurro nell’edizione del 2006, quella tutta italiana. Mentre Torino centrò un successo organizzativo senza precedenti, in grado di fare scuola nel mondo del turismo, sul ghiaccio Enrico Fabris riscriveva la storia. Quattro minuti da godimento puro, per un ragazzo che è entrato nel cuore di tutti gli appassionati!
Consigliato:

Marzo
Il mese della Formula Uno, tanto moderna quanto profondamente nostalgica, perché porta con sé i successi di un tempo e chi su quelle piste (o fuori) ha perso la vita. Con la Ferrari pronta a battagliare ancora una volta con la Mercedes del campione in carica Louis Hamilton, la speranza è che il rosso di Maranello possa tornare a splendere nel mondo. Il consiglio è per un libro, vincitore del Premio Bancarella Sport 2015, che racconta, romanzandola, l’ultima notte di Ayrton Senna, uno dei grandi rimpianti delle quattro ruote di cui sopra. Un testo da leggere tutto d’un fiato, dall’alta qualità letteraria. Un mix di tenerezza, ricordi e ragionamenti sull’animo umano e sulla sua fragilità.
Consigliato: Giorgio Terruzzi, Suite 200. L’ultima notte di Ayrton Senna, 66th and 2nd 2014.

Aprile
Con l’avvento della primavera arriverà anche uno degli eventi più attesi nell’intero panorama sportivo internazionale. Stiamo parlando dei playoff Nba, che prenderanno il via il 14 aprile per chiudersi quasi alle porte dell’estate. Facile consigliarvi di rivivere il racconto della leggenda Michael Jordan fatto da Federico Buffa, probabilmente il più grande storyteller sportivo italiano ( https://www.youtube.com/watch?v=X3RMdUXZ8Vk ). Meglio stupirvi, però. Perché non (ri)vedere Space Jam, che fece di MJ definitivamente una leggenda, tutto impegnato con i Looney Tunes a sconfiggere dei mostri cattivi, senza mai abbandonare le amate Nike? Il cinema degli anni Novanta in un film.
Consigliato: Space Jam (Warner Bros, 1996)

Maggio
Da centouno anni a questa parte, è il mese del Giro d’Italia. Le due ruote pedalano per la Penisola e raccontano l’Italia, dalle scorribande di Girardengo ai trionfi del “figlio di tutti” Pantani. Tutti lo corteggiano, perché tanti ne riconoscono il fascino e l’importanza. Tra questi, Indro Montanelli, inviato d’élite tra il 1947 ed il 1948 per <<Il Corriere della Sera>>. La raccolta dei suoi testi, tra narrazione romanzata e mera cronaca, è imperdibile.
Consigliato: A. Schianchi, Indro al Giro. Viaggio nell’Italia di Coppi e Bartali, Rizzoli 2016.

Giugno
Chiudiamo con giugno, il mese del grande rimpianto. Se la storia avesse fatto il proprio corso, saremmo in grande trepidazione per l’Italia ai Mondiali, infuocati dentro ed accaldati fuori. Niente notti magiche, però, ma, ovviamente, il Campionato del Mondo si giocherà anche con una Svezia in più ed un’Italia in meno. Per celebrarlo, una canzone. Non i grandi classici come Un’estate italiana o Waka waka. Sarà più romantico viverli, mentre saremo frastornati dalle più che scontate ed affascinanti pubblicità della Coca Cola, con Marmellata #25 di Cesare Cremonini. Non il più grande testo d’amore della storia, ma una canzone che con quelle sue poche righe <<Da quando Senna non corre più… da quando Baggio non gioca più… non è più domenica>> ha dato un senso alla passione sportiva di molti. Chi scrive, quando la ascolta pensa al 1994 (toh, guarda, il suo anno di nascita), l’anno dell’addio a Senna, di cui si è già detto, e del punto più alto e contemporaneamente più basso della storia di Roberto Baggio, il codino più famoso ed amato del mondo. Sbagliò un rigore nel caldo torrido di un pomeriggio di Pasadena, ma quando si sente la parola “Mondiali”, la testa va subito a lui.
Consigliato:

Quando Cuneo scoprì il calcio femminile: storie di pionieri e leggende

Qualche settimana fa a balzare agli onori della cronaca italiana e non è stata una notizia proveniente direttamente dalla Norvegia, dove, spinti in parte anche dalla pressione dell’opinione pubblica, i calciatori della nazionale di calcio hanno scelto di farsi tagliare di qualche migliaio di euro lo stipendio così da consentire alle colleghe al femminile di raggiungere lo stesso salario fornito per rappresentare il loro Paese nel mondo. 639 mila euro per ognuna delle due squadre, senza distinzione di sesso e di prestazione. Un passo importante, visto e considerato che spesso erano e sono proprio le girls di Oslo ad ottenere i risultati migliori sul campo, con i maschietti lontana copia della bella nazionale norvegese in rosa.

Un incipit, questo, apparentemente lontano dal fulcro dell’articolo. Una libertà editoriale, insomma. Già, ma con una volontà precisa. Quella di far percepire il senso di invidia che si può provare per un movimento all’avanguardia che, nel 2017, riconosce l’insensatezza di una distanza sostanziale di remunerazione tra uomini e donne, equiparando il trattamento dei due sessi. Bello, quasi irraggiungibile. Eppure, quando ancora l’Italia, che oggi si sta lentamente risvegliando dal torpore che l’ha posseduta per anni nel mondo del calcio, si aggrovigliava in strane teorie rispondenti tutte al motto “il calcio è uno sport per uomini”, proprio Cuneo fu per certi versi paladina e pioniera del calcio in rosa nel Belpaese.

Correva l’anno 1969, l’uomo era da poco andato sulla Luna, il presidente del consiglio era Mario Rumor ed i temi di dibattito erano legati a quel Sessantotto che avrebbe cambiato la storia. Appena tre anni prima, una diciassettenne siciliana di nome Franca Viola aveva scatenato un dibattito infuocato nell’Italia intera rifiutando il matrimonio riparatore con il suo stupratore Melodia e macchiandosi del nomignolo di “donna svergognata”. Poco più di dieci anni prima, invece, la “Dama bianca” Giulia Occhini e Fausto Coppi avevano scatenato l’indignazione del mondo democristiano del tempo per la loro relazione, costata alla donna la condanna ad un mese di carcere per adulterio ed abbandono del tetto coniugale. Nel calcio maschile dominava la Fiorentina di Pesaola e De Sisti, mentre di lì a poco la famiglia Agnelli avrebbe fatto conoscere anche al mondo del pallone al maschile la parola “miliardo”, raggiungendo un’offerta a nove zeri per poter avere Gigi Riva dal Cagliari.

Mario Sanino premia Nino Callipo

In quel trambusto, due giorni dopo l’inizio della primavera, tre uomini “folli” di nome Mario Conterno, Mario Sanino e Antonio, detto Nino, Callipo decisero di dare vita, ai piedi del Monviso, alla prima squadra di calcio femminile cuneese, nominandola Alta Italia, per la sua vocazione a rappresentare un territorio più ampio. Erano gli albori di un mondo che in quasi cinquant’anni di storia avrebbe fatto lenti passi verso la parità dei sessi. Prima la creazione di un gruppo da zero, quindi i primi tornei nazionali, fino alla Serie A, raggiunta nel 1972-73 e giocata alla grande, con un ottavo posto finale su undici squadre che significava tantissimo. Massa, Bella I, Bella II, Giordano, Romero, Minolfi, Viara, Sampò, Arnaudo, Peirona (cap.), Porrati, Tesio, Barbero, Ambrogio: queste le ragazze vestite di biancorosso in quella storia annata.

«Erano dei pionieri, in un tempo in cui la donna non aveva ancora quelle libertà che oggi possiamo immaginare». A parlare è Eva, figlia di Nino Callipo, entrata nella storia come presidentessa dell’ultimo Cuneo, quello che ha disputato negli ultimi tre anni due campionati di Serie A e di cui è stata al timone dal 2012, pur avendone seguito la parabola fin dagli albori.

Pionieri o meglio visionari, che scelsero il marketing del tempo per convocare a sé il maggior numero di ragazze possibili: volantini, manifesti sui muri ed un comunicato stampa che racconta un altro mondo, anche dal punto di vista sportivo, terminando con un laconico «si ricevono pertanto le adesioni di tutte coloro che vorranno cimentarsi con le scarpe bullonate».

Eva Callipo il giorno della seconda promozione in A con alcuni collaboratori

«In un tempo di incertezze, mio padre e gli altri avevano le idee chiare. Venivano dal mondo delle assicurazioni, già più abituato a vedere la donna in un ruolo diverso da quello di “angelo del focolare”. Si muovevano con l’auto lungo tutta la provincia: prima per reclutare le ragazze, poi, durante l’anno, per riportarle a casa dopo aver mangiato una pizza in amicizia dopo l’allenamento. Ricordo una Cuneo interessata come non mai a quelle giovani donne che correvano e tiravano calci ad un pallone al “Paschiero”, lo stadio più importante della città».

 

Storia di una comunità vera, che con alterne vicende è arrivata fino ad oggi, legata al filo conduttore della famiglia Callipo. «A quattro anni camminavo già nel rettangolo di gioco mano a mano con mio padre. Proprio di quel tempo serbo uno dei ricordi più belli: un giorno, non avevo più di cinque anni, decisi che dalla panchina non volevo proprio andarmene nonostante si stesse per giocare, costringendo l’arbitro ad allontanarmi dal campo quasi a forza. Era quello il mondo in cui ero cresciuta».

Le giocatrici ed i dirigenti dell’Alta Italia si ritrovano – Dicembre 2014

Quelle ragazze, anch’esse pioniere, hanno mantenuto contatti forti tra loro, divenendo poi spettatrici del Cuneo di Eva, tornato per la prima volta in Serie A nel 2014/15, al termine di una cavalcata epica: «L’emozione più grande legata al calcio da donna matura: il sintetico pieno zeppo di persone e la festa per una cavalcata portata a termine con tanta fatica. Momenti scritti nel cuore».

Il 25 luglio del 2016 Nino Callipo, primo allenatore dell’Alta Italia, se n’è andato, portando con sé i ricordi di un’esperienza unica, fatta di amicizia e di coraggio. Al suo funerale c’erano tutti, comprese quelle pioniere che mai avevano dimenticato la bellezza del fare squadra.

L’1 luglio 2017, quarantotto anni dopo quel 23 marzo 1969, il Cuneo Calcio Femminile ha ufficialmente cessato di vivere, cedendo il proprio titolo sportivo ed il diritto di partecipazione al campionato di Serie A alla neonata Juventus, brand imponente dal potenziale economico impareggiabile. Nulla è finito, se non la bellezza del massimo campionato nazionale, che la città di Cuneo non ha, per certi versi, saputo trattenere con sé. Resta Eva, con la passione del babbo mantenuta viva e pronta ad essere rilanciata in nuove avventure. Resta, soprattutto, un movimento che scricchiola ma è vivo più che mai, con focolai che si illuminano nel saluzzese, nelle Langhe, a Savigliano e qua e là nella provincia.

Da Mario Sanino, il primo presidente, a Eva Callipo, l’ultima. Da Franca Giordano, storico stopper dell’Alta Italia ed oggi Assessore Comunale a Cuneo, a Simona Sodini, forse la stella più luminosa delle biancorosse nell’ultima Serie A. Non sarà la Norvegia, ma quel che Cuneo ha fatto per il calcio femminile vale tanto.

*Questo articolo è stato tratto dal decimo numero del magazine di 1000miglia, scaricabile al link https://www.1000-miglia.eu/wp-content/uploads/2017/11/1000MIGLIA-MAGAZINE-NOVEMBRE-2017.pdf

Contro Nazionalismi e guerre: la partita di calcio della Storia

«È stato il Natale più meraviglioso che io abbia mai passato. Eravamo in trincea la vigilia di Natale e verso le otto e mezzo di sera il fuoco era quasi cessato. Poi i tedeschi hanno cominciato a urlarci gli auguri di Buon Natale e a mettere sui parapetti delle trincee un sacco di alberi di Natale con centinaia di candele. Alcuni dei nostri si sono incontrati con loro a metà strada e gli ufficiali hanno concordato una tregua fino alla mezzanotte di Natale. Invece poi la tregua è andata avanti fino alla mezzanotte del 26, siamo tutti usciti dai ricoveri, ci siamo incontrati con i tedeschi nella terra di nessuno e ci siamo scambiati souvenir, bottoni, tabacco e sigarette. Parecchi di loro parlavano inglese. Grandi falò sono rimasti accesi tutta la notte e abbiamo cantato le carole. È stato un momento meraviglioso e il tempo era splendido, sia la vigilia che il giorno di Natale, freddo e con le notti brillanti per la luna e le stelle».
Siamo nei giorni che vanno tra la notte di Natale ed il capodanno del 1914. A parlare, anzi scrivere, è Leon Harris, caporale del 13° battaglione del London Regiment. L’Europa da qualche mese non è più quella che i nostri trisnonni avevano imparato a conoscere. Quella della Belle Epoque, dell’avvento dell’automobile, del Novecento come il secolo della macchina e della pace. No. Da qualche mese un’era, anzi un secolo, il «secolo lungo» per dirla con le parole di Eric Hobsbawm, è finito, lasciandosi alle spalle i ricordi di un’Europa riappacificata e delle lunghe lotte romantiche dell’ ‘800. Dall’estate, infatti, il vecchio continente è afflitto da quella che al tempo verrà ribattezzata Grande Guerra, poi meglio conosciuta come Prima Guerra Mondiale.
Sono i giorni, quelli precedenti alla lettera di Harris ai genitori, tra i più tragici del conflitto. Si è infatti da poco compreso che quella che doveva essere una guerra lampo, blitzkrieg nella teorizzazione bellica tedesca, si è invece trasformata in una contesa che porterà malattie, tragedie umane, drammi psicologici e milioni di morti, coinvolgendo l’intero emisfero.
In quella cornice drammatica, il quadro dipinto dalle parole del soldato britannico. Perché proprio nella notte di Natale 1914 si consumò forse la più grande pillola sportiva della storia dell’umanità, una pillola nel marasma bellico.
Soldati britannici e tedeschi insieme, gli uni contro gli altri, senza armi come oggetto della contesa e morti avversari come obiettivi da raggiungere. Solo un pallone di pellame, la voglia di segnare un gol e gli stessi stivali bellici, indossati fino al giorno prima delle trincee, divenuti scarpe da gioco. Già, il calcio come simbolo della tregua. Tutti felici e contenti, a centinaia dietro ad una sfera, senza pensieri per la testa per ventiquattr’ore. Da lì, la leggenda della partita di Natale. Quel match che si sarebbe chiuso sul 3-2 per gli Alleati, ma del quale non si ha alcuna certezza. Più probabile che si giocò senza compagni di squadra o avversari, rendendo il tutto ancora più magico, in un melting pot di razze (al tempo quel termine era ancora in voga), lingue e schieramenti.
«I should think there were about a couple of hundred taking part. I had a go at the ball. I was pretty good then, at 19. Everybody seemed to be enjoying themselves. There was no sort of ill-will between us. There was no referee, and no score, no tally at all» – dirà Ernie Williams, altro reduce britannico in un’intervista rilasciata nel 1983, quasi settant’anni dopo quella partita.
A fare da contorno, Walgherem, la terra di nessuno. Provate a fare una breve ricerca su internet e vi renderete conto della forza di quel miracolo. Walgherem è cittadina del nord del Belgio, divenuta tragicamente famosa, a suo modo, per alcuni attacchi con il gas letale compiuti nel 1916 dall’esercito degli Imperi Centrali.
Quel giorno no, avevano vinto la pace, il Natale ed il calcio. Il giusto modo per avvicinarsi alle feste, ricordando che cosa producono gli odi nazionali, di che cosa è capace lo sport e quanto l’uomo possa essere infinitamente forte anche nelle avversità.

42 anni senza Pier Paolo Pasolini: il calcio come lotta e piacere

Quarantadue anni fa l’Italia ed il mondo perdevano uno dei loro più grandi letterati, uno dei simboli del Dopoguerra nello Stivale. Il 2 novembre 1975 moriva nell’idroscalo del Lido di Ostia Pier Paolo Pasolini. Una morte tanto tragica quanto misteriosa, sulla quale, a più di quattro decenni di distanza, non è ancora stata fatta luce.
Figura complessa, amata, odiata e spesso trattata con sospetto dai contemporanei, con i quali aveva però un aspetto in comune: lo sfrenato amore per il pallone. Del calcio, però, Pasolini non amava solo ed esclusivamente il tifo di squadra, il gioco in sé, l’attaccamento ad una maglia. Ne amava la sua rappresentazione del reale, il suo modo di raccontare il reale con un linguaggio equiparabile a quello della stessa letteratura.

“[…] Il football è un sistema di segni, cioè un linguaggio. Esso ha tutte le caratteristiche fondamentali del linguaggio per eccellenza, quello che noi ci poniamo subito come termine di confronto, ossia il linguaggio scritto-parlato.
Infatti le “parole” del linguaggio del calcio si formano esattamente come le parole del linguaggio scritto-parlato. Ora, come si formano queste ultime? Esse si formano attraverso la cosiddetta “doppia articolazione” ossia attraverso le infinite combinazioni dei “fonemi”: che sono, in italiano, le 21 lettere dell’alfabeto (…)”
“(…) Ci può essere un calcio come linguaggio fondamentalmente prosastico e un calcio come linguaggio fondamentalmente poetico.
Per spiegarmi, darò – anticipando le conclusioni – alcuni esempi: Bulgarelli gioca un calcio in prosa: egli è un “prosatore realista”; Riva gioca un calcio in poesia: egli è un “poeta realista”. Corso gioca un calcio in poesia, ma non è un “poeta realista”: è un poeta un po’ maudit, extravagante.
Rivera gioca un calcio in prosa: ma la sua è una prosa poetica, da “elzeviro”.
Anche Mazzola è un elzevirista, che potrebbe scrivere sul “Corriere della Sera”: ma è più poeta di Rivera; ogni tanto egli interrompe la prosa, e inventa lì per lì due versi folgoranti.
Il calcio “è” un linguaggio con i suoi poeti e prosatori”.                                               (“Il Giorno”, 3 gennaio 1971)

Da lì una lunga narrazione di quel che il calcio sapeva raccontare dei popoli, del loro modo di intendere la vita in modo prosastico o poetico, del loro modo di battagliare nel sociale attraverso il pallone. Il calcio era la cultura popolare e la cultura popolare era il terreno ideale per la lotta politica che avesse come principale obiettivo quello di dare voce agli ultimi, ai diseredati.
Giocò come attaccante a Casarsa negli anni Quaranta, il paese materno nel Friuli del Dopoguerra, e nei campi battuti di Roma, dove molti amici giurano di averlo conosciuto per la prima volta mentre rincorreva un pallone su terreni il cui fondo era in carbon fossile.
Un giorno, due anni prima di morire, incrociò sulla sua strada colui che divenne uno dei grandi del giornalismo italiano: Enzo Biagi. Il bolognese, che al tempo scriveva per La Stampa, gli fece una lunga intervista, nella quale seppe riassumere in due uniche battute tutto Pasolini:

Senza cinema, senza scrivere, che cosa le sarebbe piaciuto diventare?
«Un bravo calciatore. Dopo la letteratura e l’eros, per me il football è uno dei grandi piaceri».
“La Stampa”, 4 gennaio 1973

Il calcio come società che si racconta e come terreno di lotta contro le convinzioni e le convenzioni degli italiani, l’amore per il “suo” Bologna, tifato ogni domenica in prima fila. Ecco Pier Paolo Pasolini, in un video conclusivo che lo vede impegnato in un’anacronistica intervista ai giocatori rossoblù (nel 1964!).

Emanuele Becchis: l’oro di Cuneo è qui

L’oro di Cuneo è qui. Tra calcio, volley, basket ed altri sport d’élite anche nella nostra provincia, così come nel resto d’Italia, si finisce per lasciare in secondo piano chi veramente sta scrivendo pagine importanti nella storia sportiva del nostro Paese.

Proprio per questo, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Emanuele Becchis, due titoli mondiali assoluti in un solo ragazzo nello skiroll. Già, che cos’è lo skiroll? “È uno sport molto divertente, dove si utilizza la stessa tecnica dello sci di fondo ma con il vantaggio di poter raggiungere velocità nettamente maggiori, quindi spesso si fatica anche meno (ride, ndr) e si possono portare le gare nel centro delle città, cosa impossibile d’inverno per il problema della neve! Parlo da sprinter, la gara più affascinante è la sprint, dove in 150 metri o poco più ci sfidiamo divisi in corsie come nell’atletica e la velocità e l’adrenalina garantiscono il divertimento del pubblico!”.

Eppure in pochi a Cuneo sanno che poco meno di due mesi orsono, il 4 agosto, nella piccola cittadina svedese di Solleftea, proprio Emanuele ha portato in alto l’orgoglio della Granda e della sua Borgo San Dalmazzo centrando il secondo successo iridato dopo quello di due anni fa in Val di Fiemme. “Crescere per il nostro sport è difficile. Sicuramente è l’informazione il tramite principale per la nostra evoluzione: se avessi gli stessi riflettori di sport maggiori, parlo “solo” di sci nordico o alpino, non certo del calcio, sicuramente sarebbe tutta un’altra storia. Purtroppo non abbiamo la fortuna nè di avere gruppi militari e neanche grandi team che ci sostengono. Ecco perché la Federazione Italiana di Sport Invernali è per noi indispensabile, in primis dal punto di vista economico”.

Incertezze nel presente, ma la voglia di fare dello skiroll è un tema centrale anche per futuro: “Mi laureerò in questi giorni in Scienze e Tecniche avanzate dello Sport dopo cinque anni di studio e tanti duri allenamenti settimanali. È dura ma non impossibile. Voglio trovare un lavoro che mi permetta di continuare ancora a vivere di questa passione fantastica”.

La voglia di non mollare, accompagnata dalla passione di un’intera famiglia, ormai ribattezzata “Team Secchis”. “Il nome deriva dal fatto che non siamo proprio dei giganti”. Emanuele è il diamante più esperto ma senza i genitori ed i fratelli Francesco e Chiara non sarebbe la stessa cosa. Solo nel 2017 il bilancio di famiglia è impressionante: “In nemmeno 365 giorni io ed i miei due fratelli abbiamo portato a casa due titoli Mondiali (Sprint assoluto e Team sprint junior), quattro vittorie nella categoria Senior di Coppa del Mondo, tre vittorie di Francesco negli Junior e la prima vittoria di Chiara in Coppa del Mondo Junior. Il tutto condito dalle prime due vittore del circuito di Coppa del Mondo junior della famiglia, ottenuto dai miei fratelli, ed il mio secondo posto nella classifica finale di coppa del mondo senior!”. Tre frecce per un arco da valorizzare, seguito costantemente da chi lo ha messo al mondo: “I genitori sono la nostra più grande fortuna. Accanto al sostegno economico costante, ci accompagnano con la loro passione per tutte le trasferte. Di fatto siamo un team, ormai, che si muove in camper per risparmiare ma anche per vivere le gare con maggiore serenità in un clima di squadra e di casa. La fortuna che abbiamo è che siamo uniti e spesso riusciamo ad allenarci insieme sfruttando la forza dell’uno o dell’altro. Essendo il più vecchio mi prendo il compito di coordinare il tutto e di fornire consigli quando ne ho l’occasione”.

Storia di una famiglia che va nel mondo con Cuneo nel cuore e torna a casa con medaglie scintillanti ed una fama crescente. “Riusciremo a diventare ancora più forti. Come? Lavorando ancora. Poi, certo, sono ben accette le proposte che ditte piemontesi o italiane ci faranno: sono a completa disposizione di chi è pronto ad investire nel Team Secchis!”. Si chiude con una risata e gli occhi puntati sul prossimo oro da portare in Granda.

L’oro di Cuneo è qui. Tra calcio, volley, basket ed altri sport d’élite anche nella nostra provincia, così come nel resto d’Italia, si finisce per lasciare in secondo piano chi veramente sta scrivendo pagine importanti nella storia sportiva del nostro Paese.

Proprio per questo, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Emanuele Becchis, due titoli mondiali assoluti in un solo ragazzo nello skiroll. Già, che cos’è lo skiroll? “È uno sport molto divertente, dove si utilizza la stessa tecnica dello sci di fondo ma con il vantaggio di poter raggiungere velocità nettamente maggiori, quindi spesso si fatica anche meno (ride, ndr) e si possono portare le gare nel centro delle città, cosa impossibile d’inverno per il problema della neve! Parlo da sprinter, la gara più affascinante è la sprint, dove in 150 metri o poco più ci sfidiamo divisi in corsie come nell’atletica e la velocità e l’adrenalina garantiscono il divertimento del pubblico!”.

Eppure in pochi a Cuneo sanno che poco meno di due mesi orsono, il 4 agosto, nella piccola cittadina svedese di Solleftea, proprio Emanuele ha portato in alto l’orgoglio della Granda e della sua Borgo San Dalmazzo centrando il secondo successo iridato dopo quello di due anni fa in Val di Fiemme. “Crescere per il nostro sport è difficile. Sicuramente è l’informazione il tramite principale per la nostra evoluzione: se avessi gli stessi riflettori di sport maggiori, parlo “solo” di sci nordico o alpino, non certo del calcio, sicuramente sarebbe tutta un’altra storia. Purtroppo non abbiamo la fortuna nè di avere gruppi militari e neanche grandi team che ci sostengono. Ecco perché la Federazione Italiana di Sport Invernali è per noi indispensabile, in primis dal punto di vista economico”.

Incertezze nel presente, ma la voglia di fare dello skiroll è un tema centrale anche per futuro: “Mi laureerò in questi giorni in Scienze e Tecniche avanzate dello Sport dopo cinque anni di studio (Emanuele si è laureato il 4 Ottobre, dopo l’intervista, ndr) e tanti duri allenamenti settimanali. È dura ma non impossibile. Voglio trovare un lavoro che mi permetta di continuare ancora a vivere di questa passione fantastica”.

La voglia di non mollare, accompagnata dalla passione di un’intera famiglia, ormai ribattezzata “Team Secchis”. “Il nome deriva dal fatto che non siamo proprio dei giganti”. Emanuele è il diamante più esperto ma senza i genitori ed i fratelli Francesco e Chiara non sarebbe la stessa cosa. Solo nel 2017 il bilancio di famiglia è impressionante: “In nemmeno 365 giorni io ed i miei due fratelli abbiamo portato a casa due titoli Mondiali (Sprint assoluto e Team sprint junior), quattro vittorie nella categoria Senior di Coppa del Mondo, tre vittorie di Francesco negli Junior e la prima vittoria di Chiara in Coppa del Mondo Junior. Il tutto condito dalle prime due vittore del circuito di Coppa del Mondo junior della famiglia, ottenuto dai miei fratelli, ed il mio secondo posto nella classifica finale di coppa del mondo senior!”. Tre frecce per un arco da valorizzare, seguito costantemente da chi lo ha messo al mondo: “I genitori sono la nostra più grande fortuna. Accanto al sostegno economico costante, ci accompagnano con la loro passione per tutte le trasferte. Di fatto siamo un team, ormai, che si muove in camper per risparmiare ma anche per vivere le gare con maggiore serenità in un clima di squadra e di casa. La fortuna che abbiamo è che siamo uniti e spesso riusciamo ad allenarci insieme sfruttando la forza dell’uno o dell’altro. Essendo il più vecchio mi prendo il compito di coordinare il tutto e di fornire consigli quando ne ho l’occasione”.

Storia di una famiglia che va nel mondo con Cuneo nel cuore e torna a casa con medaglie scintillanti ed una fama crescente. “Riusciremo a diventare ancora più forti. Come? Lavorando ancora. Poi, certo, sono ben accette le proposte che ditte piemontesi o italiane ci faranno: sono a completa disposizione di chi è pronto ad investire nel Team Secchis!”. Si chiude con una risata e gli occhi puntati sul prossimo oro da portare in Granda.

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