Via sacra di Roma, all’altezza del tempio sacro di Vesta

Quinzio: Ave, amico! Dove ti rechi così di fretta?

Apollodoro: Ave, Quinzio. Sto andando a trovare un mio caro amico che abita presso la villa di Cesare.

Quinzio: Vah! Anche io sto andando verso la villa di Cesare! Magari mentre camminiamo potresti raccontarmi com’è stata la cena ieri sera a casa del nostro imperatore…

Apollodoro: Dacché ne chiedi, penso tu abbia già ascoltato la storia, ma poiché la strada è lunga e, si sa, il parlare rende più dolce il camminare, ti dirò quel che è successo.

La sera precedente, villa del divo Cesare Marco Ulpio Nerva Traiano

Giovenale: Apollodoro? Che ci fa il direttore della Biblioteca imperiale qui?

 Apollodoro: Ave, Giovenale, sono stato invitato dal nostro Cesare. Pare voglia cambiare precettore per i figli. 

Giovenale: E avrebbe chiamato te? Se fossi io l’insegnante, Roma non avrebbe questo degrado e inoltre…

Traiano: sarebbe un deserto!

Giovenale e Apollodoro: Ave Cesare!

Traiano: Giovenale, perché non vai a discutere delle tue idee con le oche del Campidoglio? Io devo parlare in privato con il nostro amico.

Giovenale: Sì, Cesare. (Esce con aria abbattuta e umiliata)

Traiano: Apollodoro, benvenuto. Vorrei che parlassi con il precettore dei miei figli. Temo non offra loro un sistema educativo adeguato.

Apollodoro: molto volentieri Cesare.

Interno della villa di Cesare

Traiano: Apollodoro, ti presento Primo, il maestro dei miei figli.

Apollodoro: Ave!

Primo: Ave Apollodoro, è un piacere incontrare il direttore della Biblioteca imperiale.

Traiano: In verità Apollodoro è anche un grandissimo esperto di pedagogia. Mia moglie ne ha sentito parlare molto bene e mi ha convinto a invitarlo qui per discutere  dell’educazione.

Apollodoro: È per me un onore sapere che in città si parla così bene di me da avermi invitato in casa vostra, Cesare. Primo, posso chiedervi qualìè il metodo educativo che seguite?

Primo: Beh, il classico. Studio a memoria dei versi degli antichi poeti, traduzione mnemonica dall’etrusco e dal greco…

Apollodoro: Aspetta, vuoi dirmi che tutto il vostro metodo si incentra sulla memorizzazione? Ma qual è il senso di tale metodo? A cosa potrà mai servire sapere a memoria l’“Eneide” di Virgilio o l’ “Iliade” e l’ “Odissea” di Omero? Essi sono già stati scritti e copiati ad Alessandria e qui, a Roma…

Primo: Lo scopo è quello di stimolarne la creatività e la fantasia. Infatti il sapere l’ “Eneide” mostrerà loro per sempre l’abilità della poesia e li spingerà a comporre opere migliori, cosa non dubito saranno in grado di fare senza problemi, mio Cesare.

Apollodoro: Dite di voler stimolare la loro immaginazione e creatività, ma non vi rendete conto che così invece l’uccidete? Non vi rendete conto che li limitate dicendo loro di essere novelli Virgilio o Tibullo od Omero? Loro dovrebbero essere novelli sé stessi e il nostro compito dovrebbe essere quello di guidarli alla scoperta di sé stessi e del mondo che li circonda! Ditemi almeno, li fate comporre dei piccoli testi propri? E dove fate lezione?

Primo: Certo che li faccio scrivere! Tracopiano le grandi opere e poi chiedo loro un riassunto…

Apollodoro: Stai scherzando?!? E tu tracopiare testi e farne il riassunto lo chiami scrivere?!?

Primo: Beh, in realtà a volte chiedo anche di reinterpretare dei miti…

Apollodoro: No no  no, questo non è insegnare! Questo è tenere impegnati dei ragazzi e ucciderne la fantasia! Il vero metodo di insegnamento è una rivisitazione del giardino di Epicuro.

Primo: Non dire idiozie! Mi sarei aspettato di meglio dal direttore della Biblioteca imperiale! Mio imperatore, perché non scaccia questo perdigiorno e ci fai godere di una buona serata senza seccatori…

Traiano: Aspetta Primo, non così velocemente. Voglio prima sentire come funziona il metodo di Apollodoro.

Apollodoro: Grazie Cesare. In pratica il mio metodo funziona così: i ragazzi vengono accolti all’ingresso della Biblioteca e poi andiamo a fare una camminata per le vie dell’Urbe. Durante queste camminate osserviamo ciò che ci circonda e pongo alcune domande ai miei allievi. Una volta rientrati nella Biblioteca ascolto le loro riflessioni e li guido, in maniera il più imparziale possibile, alla soluzione. Talvolta li faccio anche scrivere, solitamente delle loro opinioni sul mondo e su argomenti che li toccano particolarmente e che abbiamo concordato insieme. Ecco cosa vuol dire docere, Primo. Guidare e indicare la strada, facendo in modo da valorizzare al massimo gli studenti.

Primo: Sciocchezze da perdigiorno queste, ecco cosa sono. Mio Cesare, allontanate questo pazzo prima che…

Traiano: In realtà il metodo di Apollodoro mi affascina…Primo, è un giorno eccellente per te, sei appena stato affrancato! Apollodoro, se fosse possibile ti chiederei di venire a stare a palazzo per essere il pedagogo personale dei miei figli.

Primo: Mio Cesare non potete farmi questo, sono sempre stato un servo fedele…

Traiano: Posso e l’ho appena fatto. Ora, perché non vai a goderti la libertà appena conquistata?

Primo: Ma…Sí, mio Cesare (esce guardando Apollodoro in cagnesco)

Traiano: Dunque Apollodoro, sarebbe possibile averti come pedagogo?

Apollodoro: Ma certo Cesare, sarebbe un onore immenso per me.

Traiano: Ottimo, ti aspetto per domattina alle sette. Nel pomeriggio alcuni dei miei schiavi provvederanno a prelevare i tuoi beni dalla Biblioteca per portarli qui.

Apollodoro: Grazie immensamente Cesare, spero di essere all’altezza del compito.

Escono tutti

Ritorno al presente, Via Sacra di Roma, poco distante dal palazzo di Traiano

Quinzio: Addirittura pedagogo imperiale! Ecco cosa stai andando a fare al palazzo di Cesare, altro che visitare un amico! Ciò spiega anche perché stamani ho visto Primo in una taverna, era più ubriaco di un satiro.

Apollodoro: Già, poveraccio, non deve essere stato un colpo facile da sopportare, d’altronde però non era in grado di adempiere al suo incarico…

Quinzio: Se ciò che mi hai raccontato è vero, meglio in una taverna che con i futuri Principi di Roma. Ora tuttavia devo salutarti. Vale amico mio et bona fortuna!

Apollodoro: Grazie, e poi si sa: audentes Fortuna iuvat! Vale amico mio!