“Ho finito anche le lacrime”
Queste parole Guido (nome inventato), un senzatetto che vive per la strada a Cuneo, le ha ripetute più volte, ieri sera. Le ha ripetute quando parlava di Michele (nome inventato), uno dei suoi migliori amici, morto pochi mesi prima, anche lui in strada. Le ha ripetute parlando di altri suoi amici, che la morte ha preso con sé, alcuni anche sotto i suoi occhi.
È stata la prima volta che sono andata a fare Unità di strada. E non sapevo che aspettarmi, se no che avremmo incontrato quelli che chiamiamo comunemente “barboni”, e avremmo offerto loro un po’ di conforto. E così è stato, se non fosse che, quando senti con le tue orecchie parole così dure e vere, allora cambia tutto. Non è più solo un sapere che a Cuneo c’è gente che non ha casa, che vive per strada. È conoscere quella gente: è conoscere Guido, che attualmente alloggia in una delle piazze di Cuneo, un po’ riparato sotto un tetto. È vedere i suoi occhi, i suoi denti tutto fuorché sani. È sentire le sue battute, perché avrà perso tante cose, ma non l’ironia. E quindi si scherza, si ascoltano le sue storie, che spesso sono molto fantasiose perché a parlare è anche (e in gran parte) l’alcool. L’alcool che ti aiuta a sconfiggere il freddo e a non pensare. Forse le due difficoltà più grandi di chi vive così. L’alcool che non manca mai tra gli averi di Guido, ma che ieri sera non sembrava parlasse troppo. Infatti Guido ci ha raccontato della sua famiglia, mescolando francese e italiano, lingue che mastica entrambe molto bene. Abbiamo così scoperto che proviene da una famiglia di artisti, e che tra di loro si è sempre trovato bene. A girare con gli artisti. E quando poi gli abbiamo chiesto se avesse bisogno di qualcosa, ci ha chiesto biancheria intima e coperte, ma non solo per lui: erano per lo più per i suoi amici. Questa solidarietà mi ha toccata nel profondo, questo pensare agli altri prima che a noi. Cosa per loro più che normale, perché chi vive in strada ha anche bisogno di avere persone fidate, a cui rivolgersi in caso di bisogno. E così ci ha detto che oggi un ragazzo gli ha portato il pranzo della mensa. E che un altro gli ha offerto le sigarette, e quindici euro. Ci ha detto che fatica a mangiare, che in questi ultimi giorni non ha mangiato quasi niente. Il suo “apparato intestinale”, come ha giustamente detto lui, fatica. Durante la notte è sempre più preda di dolori forti che, assieme al freddo invernale, gli impediscono di dormire.
Io avevo i piedi ghiacciati, nonostante le calze spesse e le scarpe da montagna. E sentire lui, che in quella condizione ci vive, tutto il giorno, tutti i giorni, magari con l’eccezione di un pasto caldo in mensa, o di due orette all’interno di un bar, mi ha fatto pensare. A quanto abbiamo tutto. A quanto ci lamentiamo appena sentiamo un po’ di freddo, appena abbiamo un po’ male allo stomaco. Appena abbiamo un po’ fame e non possiamo soddisfare questo bisogno nel giro di cinque minuti. A quando non possiamo lavarci per un giorno. A quando ci sentiamo soli, non ascoltati, dimenticati. Ecco, tutto questo è la vita di chi è senzatetto. La vita quotidiana, le emozioni di tutti i giorni.
Non ho potuto fare altro se non ascoltare. Gli abbiamo offerto una tisana calda, un po’ di calze spesse, che avrebbe dato a un suo amico, insieme a delle scarpe numero quarantacinque. Per lui abbiamo portato una coperta spessa. Ci ha chiesto anche lui delle scarpe, perché quelle che ha gli fanno male, e vorrebbe cambiarle.
Prima di andarcene gli abbiamo detto di non mollare. Sembrava quasi una presa in giro, dopo tutte le sofferenze che ci ha raccontato. Ma cos’altro possiamo fare se non dargli la speranza? Speranza che, parole sue, sta esaurendo. Dice che non cambierà la situazione, che non lo ascoltano, che non lo aiutano. Che il SERT non lo prende in carico, che non gli rispondono, che lui non ha più voglia. Più volte ha detto “Il mio fisico non ce la fa più, tra un po’ finisco pure io come gli altri”. E “come gli altri”, in sostanza, significa morto. Morto per strada, congelato, per infarto, o chissà per quali altri mille motivi. Come è possibile parlare così della morte? Me lo sono chiesta. E non lo so, so solo che le parole che ho sentito mi sono entrate dentro, e soprattutto la semplicità di come le diceva, come se fosse automatico. Senza paura, senza lasciare trasparire emozione, come fosse un’automatica causa-conseguenza.
Sono grata di aver avuto la possibilità di trascorrere due ore fuori questo mercoledì sera. Se penso che da anni c’è gente che ogni mercoledì si trova a fare il “giro dei senzatetto”, o in termini più giusti, a fare “unità di strada”, allora ieri sera ho fatto pochissimo. Penso inevitabilmente a quanto sono fortunata. A quanto inutile sia ogni mia lamentela, ogni mia polemica, ogni mia difficoltà, se comparata alla loro. So che non serve fare paragoni e confronti. Sicuramente però conoscere aiuta ad essere più consapevoli. E aiutare, anche solo ascoltando e chiacchierando mezz’ora una sera con uno come Elia, è sempre meglio che non fare niente. Serve a ricordare loro il loro valore, perché ne hanno, nonostante siano considerati gli ultimi della società. Queste vite umane, sono vite come la nostra.
Ringrazio Christian, e Ilaria, che fanno parte ormai da anni dell’Unità di strada, che ogni mercoledì sera esce a Cuneo e fa il giro. E ogni domenica mattina, dalle sette alle nove, offre colazione ai senzatetto. Senza il loro coraggio, la tenacia, la frequenza, la voglia, nessuno si disturberebbe di provare a conoscere e trovare soluzioni a questo problema, che a Cuneo affligge un numero contenuto di persone, ma che solo a Torino interessa ottocento persone. Ottocento persone che vivono per strada.
“C’è bisogno di silenzio, c’è bisogno di ascoltare, c’è bisogno di un motore che sia in grado di volare”, diceva una canzone di Guccini e dei Gen Rosso, non a caso intitolata “Lavori in corso”. Possiamo essere noi i protagonisti, anche se in piccolissima parte, di questi lavori, perché i senzatetto non si sentano invisibili, ultimi, la feccia della società.
Possiamo fare qualcosa, anche nel nostro piccolo, perché tutto è meglio dell’indifferenza.