Quando ammiriamo delle opere d’arte, visitando un museo, e ci stupiamo di fronte alla loro bellezza, molto spesso pensiamo che non saremmo mai in grado di replicare la perfezione che abbiamo davanti agli occhi. Proprio questo ci colpisce: le sfumature di un dipinto o la linea di una scultura si mostrano sempre nuove, pronte a raccontare la loro stessa storia a migliaia di persone, ma in modo diverso, suscitando continuamente nuove emozioni.

Forse una delle cose a cui non pensiamo quando osserviamo un’opera d’arte è quanto lavoro ci sia dietro al mantenimento di essa: è solo grazie alle opere di restauro che oggi si possono ammirare i più grandi capolavori artistici come se fossero stati appena realizzati. Il restauro è infatti “il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della trasmissione al futuro” come affermava Cesare Brandi, storico d’arte del Novecento.

L’opera di restauro è un processo sempre molto complesso: esso avviene solo dopo un attento studio del periodo storico-artistico in cui è stata realizzata l’opera, che serve per capire la sua funzione o il perché della sua creazione e il modo in cui è stata realizzata. A questo studio segue sempre un’attenta analisi dei materiali che la compongono e, tramite la tecnologia, spesso si riescono ad individuare velocemente le parti dell’opera che sono state maggiormente danneggiate e come essa appariva subito dopo i precedenti restauri. Ad esempio nel restauro della Cappella Sistina, avvenuto durante il Novecento, quest’analisi iniziale è servita a capire come sgrassare la superficie degli affreschi, rovinati dalla polvere, dal calore e dall’umidità, in modo da far riacquistare grande lucentezza al capolavoro di Michelangelo.

I restauratori devono anche raccogliere testimonianze da chi ha compiuto i precedenti restauri per conoscere come sono stati svolti i lavori, e solo dopo questo lungo processo di studio e analisi scientifica dell’opera può avere inizio la parte operativa.

Per restaurare spesso si utilizzano specifici laser o soluzioni chimiche in grado di rimuovere gli strati di sporcizia o gli incrostamenti senza rovinare i materiali di cui sono composte le opere d’arte. Così è stato fatto ad esempio con il David di Donatello, che è stato restaurato tra il 2007 e il 2008 ed ha fatto riemergere abbondanti tracce della sua doratura originale. Un’altra tra le moltissime tecniche utilizzate nel restauro è quella della nebulizzazione, che ha permesso la conclusione del primo ciclo di restauro del Colosseo nell’estate del 2014. Essa consiste nel separare il liquido utilizzato (acqua a temperatura ambiente nel caso del Colosseo) in piccole gocce, ad esempio costringendo il getto d’acqua a passare attraverso la sezione di un piccolo tubo. Ciò ha permesso di rimuovere i depositi neri, causati dallo smog, sulla facciata del Colosseo.

“Seb­bene il re­stauro debba es­sere im­po­stato ed ese­guito con re­gole e ca­noni scien­ti­fici, il rap­porto con l’opera d’arte spesso va ol­tre la co­no­scenza tec­nica e si in­staura un fee­ling che, al­meno per me, dura a lungo. È molto dif­fi­cile spie­gare i sen­ti­menti che si pro­vano quando si è di fronte a un ca­po­la­voro, alla grande re­spon­sa­bi­lità che si sente, si uni­sce il pri­vi­le­gio di toc­care quello che ha creato l’Artista, si pos­sono im­ma­gi­nare le sen­sa­zioni che egli ha provato.” Queste le parole di Maria Ludovica Nicolai, intervistata dopo il restauro della statua di San Ludovico da Tolosa nel Museo di Santa Croce a Firenze, dalle quali emerge il grande studio dell’esperta che la porta quasi a fondersi con l’opera stessa.

Restaurare un bene artistico significa quindi non solo analizzarlo dal punto di vista scientifico per cercare di conservarlo, ma avere anche quella sensibilità che consenta di capire l’importanza del lavoro che si sta svolgendo, cioè di proteggere e dare importanza a qualsiasi tipo di cultura.

“Ol­tre a pa­zienza e sen­si­bi­lità, ci vuole una grande ener­gia fi­sica, ol­tre a cu­rio­sità e te­na­cia, ci vuole senso pra­tico. Ma il filo con­dut­tore deve es­sere una pro­fonda pas­sione che ti fa bat­tere il cuore ogni volta che sei da solo di fronte ad un capolavoro.” (Maria Ludovica Nicolai)

 

Gabriele Arciuolo