Lo Sport ha un ruolo interessante all’interno della guerra tra Russia e Ucraina. La prima mossa della scacchiera è stata fatta con la scelta di spostare la finale di Champions League da San Pietroburgo a Parigi. Il Presidente Emmanuel Macron ha fatto leva sul senso di appartenenza europeo e si è dimostrato un leader all’altezza del presidente russo. Molti si domanderanno il motivo di questa scelta: in primis vi è sicuramente una motivazione ideologica in quanto lo statuto dello sport presuppone la pace tra i popoli, quindi è inconcepibile che avvenga un evento sportivo in uno stato promotore di una guerra. La Russia non ha iniziato il conflitto precedentemente in quanto ha voluto rispettare la pace olimpica determinata dalle Olimpiadi in Cina dimostrando quindi l’importanza dell’ordinamento sportivo a livello internazionale. Oltretutto la Russia è stata punita a livello sportivo: in primo luogo da parte della Federazione Internazionale Pallavolo che ha dichiarato l’impossibilità di organizzare i Mondiali in Russia che dovevano svolgersi tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre; poi è stata sanzionata nuovamente dalla UEFA con la cancellazione dello Spartak Mosca dalla Champions League e con l’esclusione dall’Eurolega delle squadre di basket sovietiche: Zenit San Pietroburgo, Unics Kazan e Cska Mosca. La Formula 1 fa la sua parte sospendendo il Mondiale a Sochi di quest’anno e il Taekwondo toglie la cintura nera onoraria 9°Dan data al presidente Putin. Insomma, molte federazioni sportive hanno fatto scelte di questo tipo, trasmettendo il messaggio che lo sport deve essere promotore di ideali di pace. Logicamente ci si può domandare a che cosa serve togliere tutti questi eventi sportivi in favore dell’Ucraina: servono a colpire economicamente le grandi, medie e piccole aziende, ad esempio a chi avesse sponsorizzato gli eventi e le squadre delle varie federazioni che avranno una ripercussione di fatturato; al mercato aziendale e contrattuale che si forma quando si devono fare manifestazioni sportive, che producono opportunità di lavoro ed introiti sul territorio interessato, legati al turismo e all’immagine. La politica dello sport ha quindi le idee chiare e si sta muovendo velocemente.Intanto nel panorama locale,precisamente a Torino nel quartiere Santa Rita, una ventina di ragazzi russi, ucraini, ma anche uzbeki, azeri, bielorussi, giocano a calcio in un campetto tra i palazzi sotto il nome di “Unione sportiva parlanti russo”. Una realtà che dimostra come nel nome dello sport si possa restare uniti dentro e fuori un campo.