A fine ‘800 Giovanni Verga descriveva il progresso come “una fiumana inarrestabile che procede verso una dura lotta di selezione degli uomini”. Insomma ci stava dicendo che il mondo va avanti senza preoccuparsi di chi rimane indietro. Va bene tutto pur di progredire e innovare sempre di più. Bisogna stare al passo con i tempi, indietro non si torna, quello che ieri era nuovo oggi è già vecchio. Quello che oggi è nuovo sarà vecchio domani.
In economia si parla di crescita pari a zero o crescita negativa ma mai decrescita o diminuzione. Dobbiamo crescere ed arricchirci. Non ci accontentiamo mai, anche se stiamo bene, c’è sempre qualcosa di più bello che dobbiamo assolutamente avere. Perfino nell’educazione si parla di avere abbastanza crediti e non avere debiti per poter andare avanti. Siamo addirittura arrivati a misurare il sapere in debiti e crediti. Fin da subito ci fanno capire che quello che conta nella vita si compra e si vende. Ma in un mondo finito, con risorse finite e con capacità di carico limitate, una crescita infinita è impossibile. Potremmo forse imparare a dare qualità alle cose, a vivere meglio consumando meno.
Nel libro La decrescita felice: la qualità della vita non dipende dal PIL , Maurizio Pallante spiega come i segnali sulla necessità di rivedere il parametro della crescita, su cui si fondano le società industriali, che continuano a moltiplicarsi: si sta avvicinando l’esaurimento delle fonti fossili e l’arrivo di guerre per averne il controllo. I mutamenti climatici e l’aumento dei rifiuti minacciano il nostro futuro. Eppure gli economisti e i politici, con l’aiuto dei mass media, continuano a porre nella crescita del prodotto interno lordo il senso stesso dell’attività produttiva. La decrescita felice è uno slogan per indicare la necessità di un “cambio di paradigma culturale”, di un’inversione di tendenza rispetto al modello dominante della crescita basato sulla produzione esorbitante di merci e sul loro rapido consumo.
Per decrescita si intende, infatti, la riduzione selettiva degli sprechi, delle cose che oggettivamente non servono a niente. L’obiettivo è quello di spargere la consapevolezza della necessità e della bellezza di rallentare, proteggere la natura, gli animali e l’ambiente. Cercare un modo diverso di impostare i rapporti umani privilegiando la convivialità e collaborazione piuttosto che la competizione. In questo cambiamento la tecnologia ci serve. Non è la tecnologia che deve decidere per noi ma dobbiamo essere noi ad indirizzarla: se usciamo da un sistema dominato dall’economia che impone di produrre e consumare sempre di più con la concorrenza, se cominciamo a contemplare più la cooperazione e l’altruismo, allora troveremo le tecnologie adatte al progetto. Inoltre, per decrescita non si intende recessione. Non significa diminuire in modo generale e incontrollato tutta la produzione di merci, sia quelle utili sia quelle inutili perché, così facendo, si causerebbe una forte disoccupazione. Al contrario, decrescita felice vuole creare occupazione in attività utili volte a eliminare gli sprechi.
Purtroppo, chi segue le mode imposte dalla pubblicità nell’alimentazione, nell’abbigliamento o nelle vacanze, consuma molto di più di chi non le segue e fa crescere il prodotto interno lordo. Anche se è difficile disintossicarsi dalla dipendenza da consumo bisogna arrivare ad acquistare le merci in funzione dei bisogni reali e non indotti. La pandemia ci ha insegnato che è possibile vivere meglio con meno, anche se le circostanze erano quelle di un’imposizione e non di una scelta. La lezione, per alcuni, è stata capire la necessità di uscire dalla società della crescita, per molti altri, invece, c’è l’aspirazione a tornare alla vita come prima, soprattutto da parte di molti governi che non hanno approfittato di questa esperienza, ma hanno iniziato subito la corsa a tornare all’economia tradizionale.
Nel 2021 l’Earth Overshoot Day è stato il 29 luglio, ciò vuol dire che, a partire dal 29 luglio fino al 31 dicembre, l’umanità consumerà risorse non prodotte dal pianeta Terra. Forse è arrivato il momento di smontare il mito della crescita, di definire nuovi parametri per le attività economiche e produttive, di elaborare un altro sapere e un altro saper fare, di sperimentare modi diversi di rapportarsi con gli altri e con noi stessi.