Nella foga di voler partire, di voler andare aveva avuto da subito due problemi: era partito troppo presto e non trovava più i complimenti di moto a luogo. Erano una delle tante cianfrusaglie non messe nello zaino. Attenzione, non perché non fossero utili.  Partire per dove? Andare dove? Avrebbe dovuto comprare quella benedetta armonica, ma di negozi di musica aperti alle sei e mezza del mattino, non ce n’è. Non sapeva suonare l’armonica e questo è un fatto di poca importanza. Eppure in quel momento era per lui fondamentale. Io penso che i migliori siano quelli che non sono consapevoli di quello che sanno fare, ma, al contrario, si lamentano sempre di quello che non sanno fare. Non so quale sia l’opinione di Mike in proposito e non so neanche se ci abbia mai pensato. Per lui, forse, fino a quel momento la vita era un curriculum, cioè una lista più o meno vera di cose che si sanno fare più o meno bene. Invece, ora, al primo posto della nuova lista sarebbe comparsa la dicitura: non so suonare l’armonica. Secondo me, un ottimo punto di partenza. Ha cominciato a camminare con un passo deciso, come di chi ha un obiettivo, una destinazione. E poi ha cominciato a rallentare, vedendo un signore steso a terra, in fondo alla via. Avvicinandosi si rese conto, che aveva un cartone steso addosso, insieme ad un forte odore di alcol. Lo scosse per una spalla. L’uomo si girò lanciandogli un’occhiataccia: <<Aho, ma che voi? Famme dormì. Che sei uno sbirro?>>. <<No, no, mi scusi>> <<E che fai? Me dai del lei? Senti, a fighetto, ndo vai a quest’ora? Vedi de circolà. Non è che me dai du spicci? Pe compramme da magnà. C’hai l’aria de uno che in tasca c’ha pure più de du spicci?>>. In quel momento, Mike pensò a molte cose e poi, lasciatemelo dire, fece quella più giusta. <<Non vado da nessuna parte. Mi fermo un po’ qui>>. Si sedette e la sua lunga camminata incontro al mondo fu di meno di 200 metri. <<Aho, ma che t’ho fatto? >> <<Niente, non ha voglia di parlare un po’?>> <<Prima de tutto, se me dai del lei me fai sentì un signore, uno rispettabbile, quindi piantala! E poi, no, nun c’ho voglia de parlà. Che ore so’? C’ho voglia de dormì>> <<Come mai parla con l’accento romanesco?>> <<Ho capito: tu ‘sta voglia proprio non ce l’hai, eh! Comunque parlo de Roma, perché so stato per strada 5 anni a Roma. Poi per forza parli a ‘sta maniera>> <<E come ci è arrivato qui?>> <<In mezzo alla strada?>> <<No, a Torino!>> <<E che te devo dì. C’ho avuto problemi a Roma, me hanno detto de venì a Torino. Ché se sta bene. C’ho messo dei mesi pe arrivacce>> <<Se l’è fatta a piedi?>> <<Ma che stai a scherzà? Me fermavo nelle stazioni. Facevo amicizia coi bigliettai o coi capotreni. E poi dopo un po’ me facevano fa un tratto, senza famme pagà>> <<E perché ci rimane a Torino? Facendo così si può girare l’Italia?>> <<Ma che me prendi in giro? Ma tu me sembri strano forte. Me stai a fa un sacco de domande: ma manco m’hai chiesto come ho fatto a finicce in mezzo a una strada. Credi che me trovo bene a sta seduto per tera>> <<Secondo me, non si sta male>> <<Ce dovresti provà. Ma da ndo vieni tu?>> <<Da laggiù, il mio appartamento è qui vicino>> <<No ma intendevo da che famiglia vieni. Se sente che sei un figlio di papà>> <<E come faccio a non farlo sentire?>> <<Te devi fa delle domande. Le cose nun so così perché devono esse così. Ce sta ‘na spiegazione e te devi fa lo sforzo de chiederte perché?>> <<E lei perché è in mezzo a una strada?>> <<Fatte gli affarracci tua>> <<Che ne dice di andare a un bar a fare colazione? Offro io. Sia chiaro>>. L’uomo appoggiò la mano sulla spalla di Mike, lo fissò dritto negli occhi e poi alzandosi gli disse:<<E che te credevi? Che pagavo io?>>

Marco Brero