Nel sesto capitolo di quello splendido testo del 1979 che è Il principio responsabilità, Hans Jonas riflette sull’importanza dei «passatempi senza risultato». Scrive: «L’interesse dello Stato al passatempo come occupazione e non agli eventuali risultati materiali dell’attività è in effetti vitale, non tanto in vista della salvezza dell’anima degli occupati, quanto piuttosto per amore dell’ordine generale. Infatti il vuoto dell’inattività, in questo caso dunque dell’ozio assistito, potrebbe anche essere colmato diversamente, e proprio con gli stessi mezzi verso i quali spingono le privazioni determinate dalla povertà della disoccupazione: la tossicomania, la ricerca di sensazioni eccitanti di ogni tipo, la criminalità».
In parole più semplici: senza un passatempo che davvero appassioni, la persona rischia di colmare il proprio vuoto con mezzi pericolosi per la sicurezza dello Stato (la dipendenza dal gioco, l’alcolismo, la tossicodipendenza, la violenza…). Il capitalismo ruota invece esclusivamente attorno al capitale, al denaro. Questo non significa che altre forme di vita e di politica non ruotino «in fin dei conti» intorno ai soldi, perché la politica è in parte originata dall’uomo: probabilmente è l’essere umano a cercare potere e soldi. Sto però dicendo che per lo Stato è vitale la promozione del benessere davvero profondo dei suoi cittadini, e non solo del benessere economico: ogni forma di violenza e di reato prende le mosse da una situazione esistenziale problematica ed è proprio quest’ultima a dover essere affrontata e risolta. Ecco che così si comprende la grandezza di quei grandi imprenditori del Novecento italiano, come Adriano Olivetti e Luisa Spagnoli: lì il capitalismo era indubbiamente all’opera, ma, a differenza di quanto accade oggi, era accompagnato dalla lungimiranza: l’operaio non era sfruttato non solo e non tanto per un’integrità morale del datore di lavoro, ma perché sfruttare significava esaurire prima le risorse umane; non è quindi un’etica del lavoro fine a se stessa o economicamente dannosa, ma un’etica praticamente utile.
A livello sociale, politico, economico quello che manca oggi è proprio la lungimiranza e prima ancora la responsabilità, perché responsabile è proprio quell’azione che sa farsi carico delle conseguenze, prevedendole e agendo di conseguenza. Ciò che rende grande un imprenditore, ma anche e soprattutto un politico, è proprio l’allenata abilità a vedere più in là rispetto a quanto sanno fare le persone comuni, a calcolare gli effetti di una decisione sempre e soprattutto su ampia scala.