Non sono mai stata un’appassionata di basket né una fan sfegatata di NBA. Anzi, ne capisco ben poco. Però sono cresciuta con mio fratello Lorenzo, che ha sempre giocato a pallacanestro e che al liceo si alzava alle 3 del mattino per guardare le partite in diretta con gli amici. Un grande classico il venerdì sera era Space Jam, con protagonisti Michael Jordan e i Looney Tunes. Ho anche avuto la fortuna di assistere a una partita dei Trail Blazers a Portland, scatenandogli grande invidia.
Ma questo non vuole essere un articolo sportivo, né tecnico, sarei poco credibile. Ciò che mi ha spinto a tentare di raccontare qualcosa sul basket è stata una conversazione con Lorenzo a proposito di Kobe Bryant, poco prima di scoprire della sua morte improvvisa. Stava commentando il record che King James ha aggiunto alla sua carriera realizzando 29 punti contro Philadelphia e sorpassando Kobe Bryant al 3° posto nella classifica dei migliori realizzatori all-time della storia NBA.
Abbiamo visto delle foto in cui i due campioni si abbracciano e il tweet di Bryant che si complimenta con l’amico, «Continuing to move the game forward @KingJames. Much respect my brother #33644», in cui “#33644” sono i punti che James ha realizzato per battere il record.
Non è comune a tutti saper gioire per i successi altrui, è un’eccezione. Ma Kobe, oltre ad essere un campione è sempre stato un grande uomo. La sua mentalità l’ha portato ad essere uno dei migliori: «La mentalità non riguarda un risultato da prefiggersi, quanto piuttosto il processo che conduce a quel risultato. È uno stile di vita. Penso che sia importante adottare questo metodo in ogni impresa». Mamba Mentality è il libro che ha scritto, in cui condivide con i lettori la sua idea: provare costantemente ad essere una versione migliore di se stessi. Il suo modo di essere, la sua energia, la sua umiltà sono fonti d’ispirazione per chiunque avesse a che fare con lui. Amato e rispettato da tutti, rivali compresi.
Lorenzo mi racconta di quest’uomo leggendario, dei successi sportivi, ma anche dell’Oscar vinto con un cortometraggio: una lettera d’addio alla pallacanestro, in cui ammette che il suo cuore e la sua mente possono continuare a reggere il peso del gioco, ma che il suo corpo sa che è giunto il momento di salutarsi. Lo sport è importante e chi lo pratica trova nella fatica fisica un amico, negli allenamenti una fonte di sfogo, nel team che lo circonda una seconda famiglia.
Kobe dice, rivolgendosi all’amato basket: «Volevo che tu lo sapessi, così che potremo assaporare meglio ogni momento che ci rimarrà da gustare assieme. Le cose belle e quelle meno belle. Ci siamo dati l’un l’altro tutto quello che avevamo». Per chiunque è difficile separarsi da un amico, un partner, una persona a cui abbiamo voluto bene. Non posso neanche immaginare cosa significhi dover dire addio ad un amico fedele come può essere uno sport praticato a tali livelli, compiendo sacrifici per una vita intera. Mi ha colpito scoprire che Kobe, personificazione dell’American dream, manteneva un profondo legame con l’Italia, dove ha vissuto da bambino. Innamorato di Reggio Calabria e Reggio Emilia, vi tornava spesso con famiglia e amici, parlava italiano e aveva chiamato le sue figlie con nomi italiani. Confessava di aver imparato la tattica di gioco in Italia.
Dopo poche ore da questa conversazione Kobe Bryant e sua figlia Gianna hanno avuto un incidente in elicottero e sono deceduti. Avevamo appena parlato di lui, visto il suo cortometraggio, le sue foto con le figlie, i video su YouTube. E poi, in un attimo, quella persona non c’era più. Lorenzo è rimasto in silenzio, scioccato. Il mondo intero si è commosso. Marco Belinelli ha dichiarato: «Non pensi mai che una cosa così possa accadere al tuo idolo. Pensi che sia immortale». Per i fans è stato come perdere un fratello, un amico con ideali sani, che condivideva valori genuini e trasmetteva amore e passione, verso lo sport, la famiglia e la vita.
«Life is short. Don’t miss opportunities to spend time with the people you love», ha detto Kobe Bryant in un’intervista. Esiste cosa più vera? In qualsiasi momento tutto potrebbe finire, la nostra realtà è precaria. Ed è questo il messaggio che vorrei condividere. Passiamo il tempo a preoccuparci di cose futili, ce la prendiamo con le persone senza provare a capirle, pensiamo tanto a noi stessi e ci dedichiamo poco agli altri. Episodi come questi bloccano tutto per un attimo e ci sbattono in faccia la cruda realtà.
Dovremmo cercare di vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, trovare un equilibrio che ci appartenga, circondarci di affetti a cui teniamo e che vogliano il meglio per noi. Dopo tutte queste riflessioni, non credo certo che diventerò un’appassionata di NBA, ma vorrei mettere in atto il consiglio prezioso del cestista.
Voglio emozionarmi in ogni momento e imparare a trovare la bellezza di ciò che mi circonda con l’energia e la passione di chi vuole vivere giorno per giorno fino in fondo.