Nei giorni scorsi ha fatto scalpore il viaggio istituzionale in Italia di Xi Jinping, dal 2013 (e verosimilmente a vita) presidente della Repubblica Popolare Cinese.
Sessantasei anni, espressione di un’ideologia politica moderata rispetto a quella più marcatamente di stampo comunista tipica della Cina, Xi, da quando è al potere, ha messo nel mirino un unico obiettivo: dare al macro-Stato asiatico un ruolo centrale nell’economia internazionale, attraverso accordi strategici che potessero stimolare investimenti significativi. Si spiega così la Belt and Road o “Nuova via della seta”, ovvero la creazione di una rete di accordi commerciali con i Paesi del continente asiatico e con quegli Stati europei che guardano al Mediterraneo.
Tra cui, appunto, l’Italia, che in pompa magna a fine marzo ha presentato al Mondo questo nuovo accordo commerciale. Uno scambio di tecnologie, prodotti e competenze apparso ai più come impari, perché fortemente a vantaggio della Cina e delle sue mire espansionistiche da un punto di vista economico.
Eppure c’è un settore in cui, per assurdo, sarà l’Italia a fare la voce grossa, tra export e diffusione di competenze di prim’ordine: il calcio.
Già, perché tra i tanti accordi “stimolati” dal memorandum tra i due Paesi non si parla solo di aziende, commercio, turismo e delle famose arance esportate dal Belpaese alla potenza asiatica, che ne è già il terzo produttore mondiale. C’è anche il nostro tanto amato pallone, che ha potuto soddisfare per inverso le sue mire espansionistiche verso un mercato che conta miliardi di persone.
Ma cosa prevede l’accordo?
In primis, l’esportazione di competenze. L’Italia fornirà alla Cina un team di figure specializzate in molti settori, per consentire al partner asiatico di crescere, anche a livello di risultati. Probabile, quindi, un’emigrazione di cervelli, tra tecnici, istruttori, preparatori e chi più ne ha più ne metta.
Quindi, l’esportazione della nostra massima innovazione degli ultimi anni: il Var. Il Video Assistant Referee, tanto bistrattato, sta lentamente diventando qualcosa di fortemente invidiato nel mondo, soprattutto in quella Cina che ha talmente carenza di arbitri di livello da averne “importati” per le gare più importanti del campionato.
Infine, la speranza di poter aprire un mercato solido per le nostre squadre e la nostra nazionale in Cina. Verosimilmente si disputeranno in Cina amichevoli tra la nazionale asiatica e quella azzurra, ma il grande sogno è quello di poter far disputare un match della Serie A italiana in Asia. Fantascienza? Un simile tentativo di qualche mese fa in Spagna (Barcellona-Girona a Miami) è stato bocciato dall’ “Europa del pallone” perché ogni campionato deve essere disputato sul suolo di appartenenza. Staremo a vedere, con il rischio di creare ancora una volta frizioni (questa volta “simpatiche”) tra le istituzioni europee ed i nostri governanti (del pallone).
Quel che è certo, è che il nostro calcio piace nel mondo, soprattutto a chi, come la Cina, vuole provare a raggiungere le vette anche in questo sport. Come questa rubrica ricorda nel suo motto, un giorno Winston Churchill disse: “Mi piacciono gli italiani: vanno alla guerra come fosse una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come fosse la guerra.” Per una volta, forse, (per il calcio) potremmo averci azzeccato.