Ci sono persone e nomi che si legano inscindibilmente ad una terra, la rendono nota nel mondo e anche quando il vento non è più in poppa come un tempo perché i successi sono lontani, da questa terra vengono cullati e celebrati ogni giorno.
Per la provincia di Cuneo, una di questi è Stefania Belmondo, la nostra ragazza venuta dai monti della Valle Stura e diventata una delle più grandi atlete della storia sportiva italiana, forse la più grande sciatrice in assoluto. Quella che ancora adesso fa battere i cuori. Quella della quale ti ricordi ancora ogni impresa, percependo le sensazioni di quel momento e avendo chiaro in mente il luogo in cui eri quando l’ultimo sci tagliò il traguardo.
Stefania ha provato a raccontarci che cosa sono stati quei quasi vent’anni di carriera e come li ha elaborati nei venti successivi, dall’anno del ritiro, il 2002, ad oggi.
Partiamo da qui, da oggi. Stefania, ti sono bastati diciassette anni per capire quello che hai fatto per la nostra provincia e per la città di Cuneo, che fino a poco tempo fa portava ancora i segni del tifo fatto per te, con scritte indelebili sui muri del paese?
“Devo ammettere che colgo di aver fatto qualcosa di importante perché ancora adesso vengo chiamata da tante scuole a parlare, cosa che mi riempie d’orgoglio. È l’indizio che si è lasciato un segno. Devo dire, però, che per me fu la normalità. Sono nata e cresciuta in una famiglia semplice ed umile, per cui anche dopo vittorie di alto livello non è che la mia vita sia cambiata tanto: vivevo per lo sport, ma è stato tutto quotidianità, allenamenti e vittorie”.
Eppure Cuneo, per molti l’emblema dello spirito “bugianen”, per te si è emozionata come non mai, sfiorando le lacrime…
“Forse proprio perché da noi ci sono stati meno sportivi di altissimo livello, sentire in televisione il mio nome e quello della provincia di Cuneo rappresentava un’occasione di vanto da celebrare. Devo ammettere che però ancora oggi mi commuovo quando alcune persone che mi incontrano mi ringraziano per quanto fatto e, nel farlo, hanno le lacrime agli occhi”.
La tua carriera in due medaglie d’oro olimpiche: quella di Albertville nel 1992 e quella di Salt Lake City nel 2002. Qual è la più bella?
“Impossibile scegliere. La prima è stata magnifica, perché la prima di un’italiana ad un’Olimpiade: fu qualcosa di pazzesco. C’erano due pullman dalla mia valle e ricordo ancora i momenti bellissimi vissuti con i miei compaesani. Nella seconda, invece, non dico che non credevo, ma fu qualcosa di surreale. A rendere il tutto più epico fu la rottura del bastoncino, che sembrava avermi tagliato fuori dai giochi. Addirittura, al mio paese i tifosi del fan club avevano spento la televisione e battevano i pugni sul tavolo, convinti che tutto fosse finito. Poi, quasi per caso, hanno riattaccato per assistere al mio ultimo trionfo. Sapete cosa mi lascia più soddisfazione? Larisa Lazutina, seconda classificata, che sconfissi nella volata finale, fu poi squalificata per doping, a testimonianza del fatto che a volte la voglia supera anche le scorrettezze”.
Ecco, appunto, l’uso di sostanze illecite. Quanto possono danneggiare un atleta che vive lo sport correttamente?
“Tantissimo. A livello sportivo, di immagine e anche e soprattutto da un punto di vista meramente economico. Ridevo qualche giorno fa con Elisa Rigaudo, che ha recentemente ottenuto la medaglia d’argento ai Mondiali di Daegu 2011 dopo la squalifica di una seconda atleta che l’aveva preceduta al tempo al traguardo: tantissime delle sciatrici che mi sconfissero in quegli anni, di fatto tutte russe, furono poi trovate positive ai controlli antidoping. Insomma, chissà quante medaglie ho lasciato per la strada per fattori che non potevo controllare!”.
La rivale più forte?
“Yelena Valbe, senza dubbio. Anche lei russa, ma di una forza spropositata senza “aiutini”. Quante volte abbiamo lottato per la Coppa del Mondo! Ancora adesso ci sentiamo e insieme dialoghiamo su tutti questi casi di doping che emergono nel suo Paese”.
Chiudiamo con la ricetta di Stefania: come si diventa campioni?
“Non servono medaglie per essere campioni, ma tutto sta nel sentirsi realizzati. Ai giovani dico: ricordatevi sempre che qualunque sia il vostro obiettivo dovete impegnarvi e dare il massimo. Io, poi, ho sempre aggiunto i sogni: per anni ho sognato di cantare l’inno italiano dopo una vittoria olimpica, poi ho iniziato a lavorare concretamente per raggiungere quel desiderio e solo dopo ce l’ho fatta. Sono i sogni il vero carburante delle nostre azioni”.
Volete avere i brividi? Guardatevi queste immagini.