Massimo Recalcati, psicoanalista italiano tutt’ora vivente, su La Repubblica nel 2016 ha pubblicato un eloquente articolo intitolato Quel che resta della parola “educazione”: ha analizzato brevemente la situazione educativa genitoriale e familiare attuale, sostenendo che, in un modo esemplare e nuovo rispetto al passato, le esigenze dei bambini stanno prendendo il sopravvento sulle decisioni degli adulti. Non solo, ma in molti casi si vede l’infanzia come un periodo della vita da preservare e addirittura si diventa allergici all’educazione in sé, che viene infatti considerata come l’invasione della sfera infantile da parte dell’adulto. In sintesi, questa è l’era della crisi del padre, cioè dell’autorità e della regola: lo dimostrano gli scontri politici, in cui si affronta il potere della Costituzione, lo rivela il genitore che contesta alla professoressa la decisione di aver sanzionato il figlio a scuola, lo palesa chi dice che la scuola pone vincoli di obbedienza ai bambini, che invece dovrebbero vivere la loro infanzia senza stare seduti a un banco per ore.
Questo è grave: se non si ha bene chiaro in mente che il bambino deve diventare adulto, nei prossimi decenni ci saranno eterni bambini, persone che quindi non avranno interiorizzato il senso del limite né l’importanza dell’obbedienza. Il senso del limite, che è vitale, lo si acquisisce per esperienza e trasmissione: se non insegno a mio figlio che drogarsi è distruggere la vita, è possibile che prima o poi lo faccia, per una banale inconsapevolezza; se non insegno a mio figlio che in classe non può insultare la maestra, perché la maestra è una persona – oltre a essere un adulto che è lì per lui – e che, in quanto tale, va sempre e comunque rispettata, è probabile che si spingerà oltre l’insulto. Scrive Recalcati: Il compito dell’educazione viene aggirato nel nome della felicità del bambino che solitamente corrisponde a fargli fare tutto quello che vuole: il soddisfacimento immediato non è solo un comandamento del discorso sociale, ma attraversa anche le famiglie sempre più in difficoltà a fare esistere il senso del limite e del differimento della soddisfazione. Nulla da dire: il confine è la cifra del mortale, e, se fin da piccoli non ci si abitua a questa idea e si crede che tutto sia lecito, non si sarà capaci di stare al mondo. È normale che l’educazione debba talvolta ricorrere a metodi coercitivi, almeno fino a quando il figlio non abbia raggiunto la maturità e la piena responsabilità delle proprie azioni; come il vasaio lotta con la massa di argilla ancora informe, così l’educatore plasma il bambino talvolta obbligandolo a cedere a una certa forma che, a proprio avviso, è la migliore.
Sia chiaro: questo non vuole essere l’apologia della costrizione e dell’assenza di libertà, ma un antidoto efficace all’altrettanto profonda pochezza di formazione in cui siamo immersi. Il bambino dev’essere ovviamente circondato di amore, di affetto e gratitudine, ma è proprio questo ad implicare inevitabilmente un insieme di regole: il bambino non potrà percepire cattiveria laddove ci sarà puro amore. E puro amore ci sarà dove ci saranno cura e responsabilità: puro amore ci sarà laddove ci sarà una scelta.
Che nell’educazione, come nell’amore, si sbagli è imprescindibile… Ma questo è un altro capitolo.