Che cos’è la verità?
Non sembra esserci domanda più irrisolvibile di questa, così ci soffermiamo qui su una delle tante risposte plausibili: verità è scienza. È un’affermazione che tiene conto dell’innegabile importanza della scienza, nata per il bisogno profondamente umano di conoscenza e che ha saputo trovare rimedi a grandi sofferenze ed evitare terribili catastrofi. Tuttavia si può reagire a questa convinzione in modi diversi. Innanzitutto è possibile negare la correttezza della scienza; oggi largamente diffusa, questa è però una posizione che causa danni, come rivela l’altissimo numero di bambini morti nel mondo perché non vaccinati; senza contare poi che si crede di poter fare a meno della medicina fino a quando non si è colpiti da un tumore, perché si sa che, quando “tocca a me”, l’opinione cambia radicalmente. All’opposto si può decidere di divinizzare il progresso scientifico fino a contribuire al pesante “processo di scientifizzazione” a cui stiamo assistendo: se oggi si vuole essere influenti, occorre travestirsi da scienziati e se si vuole diffondere un testo è consigliabile intitolarlo con una frase attraente del tipo “La scienza dice che” – dove “la scienza” sembra peraltro una strana entità superiore. Anche questa è una visione molto presente oggi, tanto che parte del mondo educativo odierno è in preda a questa concezione: genitori chiedono aiuto allo psicologo per sapere come comportarsi con i figli, la scuola si affida ai medici e, spesso senza vera ragione, etichetta molti bambini con una sigla, DSA, ADHD, BES, invece di relazionarsi serenamente con le difficoltà degli studenti. Sembra così che un’idea di per sé sganciata dalla scienza abbia valore solo se confermata in un laboratorio.
La negazione e la celebrazione di questo sapere sono due poli opposti e contrastanti e, in quanto tali, nessuno dei due rende davvero conto di questa realtà. Una terza prospettiva può però fare un passo concreto verso la comprensione del problema: la scienza ha enormi potenzialità e influisce profondamente sul benessere delle persone, ma ha anche dei limiti e dunque non può rappresentare la piena soddisfazione dei bisogni umani. Karl Jaspers (1883 – 1969), filosofo esistenzialista e studioso di psichiatria, nel 1941 pubblicò un breve testo sulla rivista Logos riflettendo proprio sulla verità, approdando a questa conclusione: l’esattezza rigorosa delle scienze non è tutta la verità. La scienza può essere esatta e corrispondere alla realtà delle cose e quindi essere un tassello della verità, ma non può svelare il senso autentico dell’esistenza: corretto e vero non sono sinonimi. E purtroppo oggi viviamo in un mondo liquidissimo in cui non solo spesso non si trova più il confine che distingue la correttezza dall’errore, ma addirittura si rischia di far equivalere esattezza e verità.
L’essere umano anela a qualcosa di più dell’esattezza, perché non è una macchina che procede per operazioni matematiche; non è solo intelletto, ma anche anima. Davanti al dolore, non gli basta che il medico gli somministri la giusta pastiglia o che la terapia abbia effetto, ma ricerca come poter accettare tutto questo. Cerca risposte, trovandole nella letteratura, nella musica, nella filosofia, nella religione, nella scienza: ma sono sempre tutte gocce di verità, che possono placare la sete di un istante o di un periodo della vita, non dell’esistenza intera. Ed ecco allora un’altra briciola di verità: non ci sono risposte definitive. In fondo bisogna accettare e amare lo stato di cose in cui si è, convivendo con il fatto che le risposte che abbiamo siano sempre e soltanto parziali. Non si potrà mai capire tutto, e di questa finitudine si deve essere consci. Tanti, tanti pezzettini di verità. Ciascuno con la sua particolarità, contribuiscono a un’appannata ricomposizione del puzzle che è quest’intera esistenza: un tripudio di colori, di errori, di cose esatte… Ma perché no? In fondo è così bello immaginare le risposte…