50 anni fa era il maggio del ’68. Le sue nozze d’oro sono state celebrate in ogni modo dai giornali, dalla televisione e da ogni forma culturale.
Questo romanzo, pubblicato 22 anni prima di quegli eventi, però non parla del maggio di Parigi o della rivolta di Praga. Da ogni pagina di questo libro però evapora uno spirito rivoluzionario, quello di Zorba che ha cambiato la vita dell’autore Nikos Kazantzakis e che ha ispirato quest’opera.
È un testo che trasformerà ogni lettore e che ha trasformato me: cosa c’è quindi di meglio per ricordare una rivoluzione che rivoluzionarsi?
Zorba il greco è la storia di un’amicizia. Il protagonista che ci racconta la vicenda, un intellettuale che rappresenta lo stesso Kazantzakis, incontra per caso in un locale di porto Zorba, un uomo di mezz’età, un «crapulone, beone, lavoratore instancabile, donnaiolo e zingaro». Questi si unirà al viaggio del narratore a Creta, dove ha comprato una miniera di lignite per stare in contatto con gli operai, con le persone più umili. Nella magnifica isola greca i due troveranno ospitalità presso l’albergo dell’anziana Madame Hortense, nient’altro che una fila di cabine da spiaggia. Qui sogneranno il proprio progetto per la miniera e cercheranno di realizzarlo. Zorba s’infatuerà di Madame Hortense e si consumerà la relazione fra «il vecchio capitano» e «Bubulina». E il letterato idealista, timoroso, tormentato imparerà a conoscere e ad amare Zorba l’avventuriero, il guerriero, il suonatore e l’amante durante lunghe discussioni, dalla patria alla religione, dall’amore alla morte.
Immerso nella natura mediterranea selvaggia ed incontaminata, rigogliosa di profumi e colori, e nella gente semplice, spontanea, piena di difetti e passioni, il protagonista imparerà da Zorba a vivere la vita a pieno, istante per istante, «come dovesse morire da un momento all’altro». Capisce di dover lasciare stare Buddha, l’opera che tentava di scrivere, la lettura di Dante. Zorba gli insegna a mandare al diavolo Dio, la religione, la morte, tutto. Sulle spiaggie cretesi gli mostrerà come ballare incurante di tutto, una danza che è partecipazione piena all’esistenza, vitalità assoluta. Così vivrà le proprie passioni, le consumerà fino in fondo, fino a capire la vera natura dell’uomo, fra imprevisti e lutti improvvisi.
In quest’opera si sente tutta l’influenza su Kazantzakis di Nietzsche, che lo stesso autore enumera fra le persone che hanno lasciato l’impronta più profonda nella sua vita. Zorba rischierebbe di essere letto solo come manifestazione letteraria del superuomo, ma così non è. Nella prefazione l’autore afferma: «Nietzsche mi ha arricchito di nuove angosce e mi ha insegnato a trasformare la sventura, l’amarezza e l’incertezza in orgoglio, e Zorba mi ha insegnato ad amare la vita e a non temere la morte». Nietzsche e Zorba sono quindi due figure ben distinte: Zorba raffigura una persona realmente esistita che ha avuto una grande influenza sullo scrittore greco e, inoltre, se Nietzsche rappresenta la fonte delle domande, Zorba è la risposta vivente ad esse. Zorba infatti è uno spirito puro, un’intelligenza profonda non corrotta dalle risposte preconfezionate della cultura. Una persona libera da convenzioni sociali, analfabeta ma profondamente filosofica. La sua forza vitale e la sua intuizione lo spingono avanti, permettendogli di trovare risposta alle questioni che affliggono anche l’autore, senza ricorrere però ai libri, ma ricercando soddisfazione nella vita stessa, vissuta con passione e liberamente. Il solo posto in cui, se ci sono, possono esserci.
«Il grido più libero che io abbia mai conosciuto in vita mia». Così parla Kazantzakis di Zorba.
Se non è questa una rivoluzione!
Articolo di Pablo Lavalle