Da qualche settimana va in onda su Rai 3 Lessico Famigliare, un programma televisivo condotto dallo psicoanalista Massimo Recalcati nel quale gli archetipi della nostra società vengono raccontati analizzando il loro compito nella formazione della personalità di una persona: dal ruolo della madre a quello del padre, passando per l’importanza dell’educazione scolastica.
Nella puntata dedicata al ruolo della madre viene riletto un passo biblico (1Re 3,16-28) dove due donne reclamano entrambe la maternità di un bambino e, solo mettendo in gioco la vita stessa del bimbo, il re Salomone riesce a ridare alla mamma il proprio figlio perché solo colei che è disposta a rinunciare al possesso del bambino, pur di salvarne la vita, è la vera madre.

La colonna sonora per questa mamma capace di rinunciare a qualcuno o a qualcosa per il bene dell’altro, in questo caso rinunciare alla maternità e all’accudimento del bambino, potrebbe essere il brano Vince chi molla di Niccolò Fabi. In questa canzone il cantante romano ripercorre il proprio cammino di vita elencando chi e che cosa lasciare andare: le sue conquiste e le sue convinzioni (“tutti i miei attaccamenti, i diplomi appesi in salotto, il coltello tra i denti”), il suo passato (“i mobili antichi”), le sue relazioni tossiche (“lascio andare mio padre e mia madre e le loro paure”).

In un mondo dove attrarre a sé e possedere sembrano essere un obbligo morale e necessario per l’emancipazione sociale, soprattutto nel vecchio occidente, è la natura dell’uomo a richiamare l’essere umano stesso a una realtà in cui spesso è necessario lasciar andare e nella quale vince chi molla.
Il primo di questi momenti, in cui è bene mollare qualcosa o qualcuno, è la madre che perde il proprio figlio per farlo vivere. Una perdita doppia per la mamma: prima l’uscita dall’utero e poi l’uscita dal nucleo famigliare in età adulta. Può sembrare un ossimoro, eppure colei che dà la vita, che ha il dono di portare in grembo la vita, è chiamata per ben due volte a perdere questa vita che ha generato. Di sicuro non è una tappa facile per una mamma, in particolare nel vedere il proprio figlio abbandonarla per dedicarsi alla sua vita e alla sua nuova famiglia, eppure solo mollando il figlio e non opprimendolo la mamma vince, vedendo la propria creatura fiorire nella vita. È necessario perdere il proprio figlio e la propria figlia per ritrovare un uomo e una donna.
Il secondo è un momento più intimo: la vita che perde la vita per ritrovarsi. Accade davanti a un forte dolore, a una storia d’amore spezzata, a un grande tradimento. Di fronte a certe situazioni appare che nulla abbia più senso e tutto sia vacuo, ma proprio nel passaggio attraverso determinate ferite si riscopre la vita colma di un nuovo senso e di un più grande significato e la causa di questo disagio si trasforma in esperienza di crescita profonda. Solo mollando l’orgoglio e la pretesa di comprendere il perché immediato di certe situazioni si ritrova quella vita che sembrava perduta.
Infine il terzo momento è la certezza più totale che ogni essere umano ha: la vita che perda la vita, ossia la morte. È una tappa obbligata che può sembrare una condanna se osservata nelle coordinate spazio temporali umane. Lo scrittore francese Xavier Forneret scriveva: “Sa morire solo chi ha saputo vivere”. In un contesto dove parlare di morte è ritenuto spregevole e si cerca di allungare la propria giovinezza quasi a voler rinnegare l’avanzare della propria età in puro stile Dorian Gray, abbandonare ogni pretesa di eternità, accettando il limite temporale dell’uomo, libera l’essere umano da ossessioni e paure. Insomma, nel momento in cui la vita perde la vita, vince solo chi ha saputo vivere mollando ogni surrogato per eternizzare la vita stessa.
Imparare a perdere è un passo fondamentale per la crescita umana. Ad esempio, per i bambini lo sport è un alleato perfetto per imparare l’arte della sconfitta. Educare a perdere è un dono di grande bene. Infatti, nel momento in cui si è chiamati a scegliere di perdere volontariamente, si è consapevoli del risvolto positivo e umano velato da una sconfitta.

Decidere liberamente di mollare qualcuno o qualcosa non può che avere come spinta il bene dell’altro o di se stessi per amore proprio o del prossimo. Infatti sono due i vincitori quando si molla: il soggetto che molla e l’amore. D’altronde, non si può scappare dalla natura umana rinnegando l’amore perché se c’è un senso ad ogni momento, soprattutto di perdita, ma anche di morte, è proprio l’amore.
Nella nostra quotidianità di luci e ombre, le esperienze che viviamo e la loro rielaborazione ci consentono di andare oltre i limiti posti dal passato protesi verso il futuro. Così, per colorare ogni istante del nostro tempo, è bene concedersi la possibilità di ritrovarsi eliminando il superfluo, perchè per godersi lo spettacolo della vita è importante stringere i denti fino in fondo e dare tutto, ma è necessario lasciare andare quelle persone, quei pensieri e quelle cose che impediscono a sé e all’altro di splendere.

Ci vuole coraggio per lasciare andare e mollare. Ci vuole coraggio per essere vincitori.

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