I giovani italiani, almeno quelli degli ultimi quindici anni, sono stati spesso descritti come “bamboccioni”, “immaturi”, e quant’altro. Un’idea forte a tal punto da avere spinto alcuni critici ad ipotizzare un ritorno della maggiore età a 21 anni, proprio in un’ottica di rivalutazione di quello che è il teenager, delle sue competenze e della sua capacità di saper stare nel mondo degli adulti nel XXI secolo.
C’è un ragazzo, però, oggi trentaduenne, che la maturità, volente o nolente, l’ha vissuta davvero, imparando a sudare, lottare e sacrificarsi per restarci in quel mondo, già a diciotto anni. Imparando a vivere.
Il suo nome è Paolo Priolo, classe 1985 di Monteu Roero, da quasi quindici privo dell’avambraccio destro a causa di un incidente motociclistico. Il nostro orgoglio. Già, perché appena un mese fa Paolo ha vissuto la più grande esperienza che uno sportivo possa sognare: quella di partecipare alle Paralimpiadi di PyeongChang, specialità snowboardcross, come unico piemontese presente nella spedizione azzurra.
Partiamo proprio dall’esperienza sudcoreana, Paolo. Che cos’è stata per te? Porta un po’ dello spirito olimpico anche a noi!
“Per me le Paralimpiadi sono state la realizzazione di un sogno, l’affermazione della mia carriera agonistica, la miglior ricompensa per tutti coloro che mi sono stati vicino e mi hanno accompagnato a questo grande evento. Siamo stati al centro dell’attenzione di migliaia di persone e questo, anche a settimane di distanza, crea grandi emozioni, come se fossi ancora là. In ogni momento ti rendevi conto che c’erano un sacco di persone lì per te, pronte ad aiutarti, a darti qualsiasi cosa di cui avessi bisogno, e, più in generale, c’era una grande armonia tra tutti noi atleti, nonostante la competizione, come se fossimo stati una grande famiglia. La lealtà prima di tutto”.
La gara?
“Sono contento, l’obiettivo era il decimo posto ed ho chiuso ottavo, che è per me un gran piazzamento, ma soprattutto lo spirito con cui l’ho conquistato è un punto di svolta, una base su cui migliorare, sicuro di me stesso come mai prima d’ora. Certo, quell’errore inseguendo il fortissimo Mike Minor non verrà dimenticato facilmente, ma ho capito che ho spazio per lavorare sull’allenamento e mettere la mia tavola davanti la sua”.
Parliamo di te. Com’era il Paolo di “prima” e quanto è cambiato dopo l’incidente? Che cosa si pensa quando si inizia il “dopo” e quale consiglio daresti a chi si trova nella tua situazione?
“Prima… beh è successo tutto il giorno dei miei diciotto anni, a causa di un incidente stradale. Com’ero prima? Sicuramente non curante e non consapevole della vita. Da quel momento non è che ho voltato pagina, ma inconsciamente alcune cose ti cambiano dentro: oggi comprendo dei valori che anni fa non avrei saputo apprezzare. Di certo non è stato l’incidente, sono stati gli anni passati e le mille esperienze che conseguentemente a questo ho affrontato, per volontà o per obbligo, negative e positive. Certo quando comincia il “dopo” non sai cosa stai facendo, non sai cosa vuoi fare e dove andrai, ma per fortuna, nel mio caso, grazie a tante persone, è iniziato subito nella giusta direzione, verso la reazione, verso la costruzione di una nuova vita, senza dimenticare quella vecchia, ma adeguandola alla condizione in cui mi trovavo”.
Come sei oggi, a più di dieci anni di distanza?
“Ora è facile parlare, ma per esperienza mi sento di poter dire che un po’ di sana sfida quotidiana, il fatto di reagire trovando il modo di fare una cosa apparentemente “impossibile” a causa della propria limitazione fisica sono piccole vittorie quotidiane personali, che ti aiutano a ritrovare la giusta strada, la voglia di vivere, che avevi perso a momenti, soprattutto in giovane età, dopo certi “imprevisti” di percorso. Oggi posso aggiungere che lo sport è un’ottima “medicina alternativa”, che riduce le distanze tra normodotati e disabili, e spero che il far conoscere le nostre attività sportive favorisca il coinvolgimento sportivo delle persone meno fortunate”.
Essere un atleta paralimpico, che cosa significa? Sono tanti i sacrifici?
“È un piacere ed una fortuna, ma comporta molte fatiche, soprattutto per chi lavora, perché richiede molto tempo e sforzi notevoli per gli allenamenti e limita i weekend di riposo, almeno fisico. Dopo una giornata di lavoro, allenarsi non è facile, ma la passione alla fine ha sempre ragione”.
1000Miglia è un mondo immaginato da ragazzi per ragazzi. Cosa ti senti di dire loro per il loro futuro?
“Lasciatevi appassionare da uno sport o da qualsiasi altra attività nel tempo libero, senza dimenticare la vita reale. Sognate, ma con i piedi per terra, per non dimenticare i veri valori della vita, senza privarvi di una passione, di una cosa che vi fa stare bene, qualunque cosa succeda”.
In ultimo, d’obbligo, obiettivi personali e sportivi?
“L’obiettivo a breve termine è quello di concentrarmi sul mio lavoro, che ho trascurato in questi ultimi mesi per le trasferte e gli allenamenti. Da “sportivo”, invece, dopo una pausa post-paralimpica, riprenderò ad allenarmi per arrivare pronto alla stagione agonistica, che quest’anno ci riserva il Mondiale, dove di certo non mi voglio accontentare dell’ottavo posto”.
Sognate, ma con i piedi per terra. Il nostro orgoglio.