La parola è un gran dominatore che, con piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere. Così Gorgia, famoso sofista della Magna Grecia, scrive nel geniale Encomio di Elena che è anche un encomio della capacità comunicativa dell’uomo.
Tuttavia, come parecchie altre realtà con cui l’uomo contemporaneo viene a contatto, il linguaggio ha perso molto della sua sacralità. Questa dissacrazione è correlata alla quantità di notizie irrilevanti che vengono diffuse e all’impossibilità di fidarsi degli altri sulla base di accordi; si vomitano parole e si annega in una comunicazione che in comune non mette nulla: i media urlano, nelle città camminano automobili incaricate di fare pubblicità soffocando i passanti con informazioni pronunciate al megafono e anche nel letto, desiderosi di riposo, le orecchie odono ancora sconosciute televisioni parlanti. Parole, parole, parole cantava qualcuno. Allo stesso tempo è ormai rischioso affidarsi alla parola data: la vacuità di frasi dette a voce è grave, ma lo è ancora di più quella di un accordo scritto e firmato. Emerge dunque nitida la conseguenza di questa duplice declinazione della crisi comunicativa: se si svuota la comunicazione, si svuota anche la stessa società umana, perché ogni relazione si fa di promesse.
Questo momento di difficoltà della parola richiede una reazione urgente per due ragioni: la prima è di carattere pratico, dato che l’equivocità del linguaggio può essere dannosa in senso concreto, la seconda è legata a un piano più alto, perché la parola rivendica per sé un rispetto che è fine a se stesso. Siccome la nostra cultura sta riducendo tutto a mera tecnica, a immediatezza e a calcoli matematici, non sembrerebbe essere preoccupante usare un termine al posto di uno simile, anche se con significato parzialmente diverso.
Tuttavia in quel parzialmente c’è un universo di senso: non è solo il contenuto generale delle cose ad avere valore, ma anche la forma in cui le cose si manifestano. È allora doveroso riconoscere un livello più profondo sotto la diretta utilità della comunicazione, prestando attenzione al modo in cui ci si offre al mondo. Solo imparando a esprimere in modo preciso le proprie idee si può capire come difendersi da chi approfitta di folle incapaci su questo versante: la massa abbocca ai sermoni degli oratori laddove concepisca il linguaggio come un normale strumento comunicativo, guardando semplicemente al senso globale di un discorso; infatti nell’ascoltare gli uomini che ricoprono cariche istituzionali spesso ci si concentra esclusivamente sul nocciolo delle questioni, tralasciando i modi in cui queste vengono espresse. Eppure è importante analizzare le sfumature di significato, il motivo per cui è stato scelto un certo termine invece di un altro: si tratta di domande che ci si deve porre per capire davvero le intenzioni di chi sta parlando.
La parola è un gran dominatore che, con piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere: il suo corpo è minuto perché è fragile, perché è sufficiente che qualcuno ne abusi affinché la parola muoia. Possiede però capacità creativa e trasformativa se è l’uomo ad accordarle un grande potere: solo rispettandola è possibile intessere rapporti stretti con le persone; solo ridefinendo i confini oggi sbiaditi di quella sacralità si può rifondare una società che comunichi bellezza e verità attraverso legami fatti di patti, di accordi, di promesse: fatti di parole.