«La professione dello scrittore dovrebbe essere piena di soddisfazioni morali e materiali. Io invece sono inchiodato al mio tavolo per molte ore al giorno ed alcune della notte, e quando riposo sono in biblioteca per documentarmi. Debbo scrivere a tutto vapore cartelle su cartelle, e subito spedire agli editori, senza aver avuto il tempo di rileggere e correggere»: queste sono le parole vergate da Emilio Salgari, autore di romanzi e racconti d’avventura, padre del pirata Sandokan e del Corsaro Nero. Già, perché il celebre scrittore, a scapito di ciò che si potrebbe pensare, visse una vita tormentata, di segno opposto rispetto a quella dei protagonisti dei suoi libri. Veronese di nascita, a sedici anni si trasferì a Venezia per compiere i suoi studi all’Istituto Nautico; il suo sogno? diventare capitano di una nave. Il desiderio, però, non si avverò, perché Emilio interruppe gli studi al secondo anno di corso, dopo essersi imbarcato solamente una volta. Pochi furono i viaggi reali che compì, molti, invece quelli mentali e fantastici: i romanzi di Dumas e Verne, i libri della biblioteca civica, le mappe, gli atlanti e la sua mente vulcanica gli permisero, infatti, di conoscere terre lontane senza mai spostarsi; «scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli», affermò, a ragione. Egli fu, quindi, un autore di libri di avventura decisamente poco avventuroso; quello che desiderava fare e che, per una qualche ragione, non era in grado di mettere in atto nella realtà, riusciva a realizzarlo solamente grazie a carta e penna.
Terminata la poco fortunata esperienza scolastica, si dedicò all’attività giornalistica e iniziò a pubblicare i suoi primi racconti e romanzi. A trent’anni sposò un’attrice di teatro, Ida, che gli diede tre figli. Dopo la nascita della primogenita, la famiglia si trasferì in Piemonte, nel canavese; a quest’altezza cronologica, il nome dello scrittore non era ignoto, anzi, Salgari aveva raggiunto un discreto successo, anche se non era ben visto nei circoli letterari, perché i suoi romanzi venivano considerati troppo moderni e di poco spessore. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento diede alle stampe quello che è considerato il suo capolavoro, Il corsaro nero; il successo non fu mai accompagnato dalla prosperità economica: l’autore, difatti, visse una vita instabile e non riuscì né a far fruttare, a livello pecuniario, il proprio talento né a gestire gli scarsi guadagni. Infine, dopo la parentesi canavese, i Salgari si trasferirono per qualche anno a Genova, per poi tornare definitivamente in Piemonte, questa volta a Torino, in Corso Casale.
La malinconia fu un sottofondo costante della vita dello scrittore e diventò più acuta all’inizio del Novecento, quando Ida – moglie di Emilio – iniziò a dare segni di squilibrio e venne internata al manicomio; inoltre, anche la figlia Fatima non godeva di buona salute, poiché si ammalò di tisi. A questo punto, i debiti si moltiplicarono; lo scrittore iniziò a scrivere incessantemente, senza quasi ricontrollare ciò che ideava, per sostentare la famiglia e pagare le cure a Ida.
La vita di Emilio Salgari, a differenza dei suoi libri, non ebbe un lieto fine; nel 1909, l’autore tentò il suicidio e nel 1911 ripeté il gesto efferato, riuscendo nell’intento. L’epilogo della storia è degno di un’opera tragica: il romanziere, prima di togliersi la vita, scrisse alcune lettere – ai familiari, ai giornali, agli editori –, poi salì sul tram armato di rasoio e, giunto nel bosco di San Martino, nella zona collinare appena sopra Corso Casale, si uccise con la pratica giapponese dell’harakiri, squarciandosi l’addome e la gola; il suo corpo dilaniato venne successivamente ritrovato da una domestica. Persino il funerale passò in sordina, perché coincise con i festeggiamenti, nel capoluogo piemontese, per i cinquanta anni dell’Unità d’Italia.
Le ultime lettere attestano la premeditazione del suicidio, nonché l’amarezza dell’autore; Salgari si rivolse così agli editori, denunciando la propria condizione: «A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna». Ai figli, invece, scrisse di non potere lasciare loro che pochi soldi: «Sono un vinto: non vi lascio che 150 lire, più un credito di altre 600 […]».
La vera, inestimabile, eredità che lo scrittore ha lasciato è, in realtà, costituita dai moltissimi libri partoriti dal suo genio: ammontano a ottanta i romanzi attribuiti con certezza a Salgari, mentre altre opere vengono ritenute apocrife; al numero dei romanzi, poi, si deve aggiungere quello dei racconti, come prova della fecondità e della grandezza dell’autore veronese.
*Questo articolo è stato tratto dal decimo numero del magazine di 1000miglia, scaricabile al link https://www.1000-miglia.eu/wp-content/uploads/2017/11/1000MIGLIA-MAGAZINE-NOVEMBRE-2017.pdf