Il rischio che si corre studiando materie scientifiche è quello di distaccarsi da esse. È successo a tutti, almeno una volta. Memorizziamo concetti, formule, nomi complicati, magari ne comprendiamo il funzionamento, magari riusciamo a risolvere i problemi a fine capitolo…ma tutto come se ci occupassimo di qualcosa di astratto. Studiamo, e l’idea che quel processo, quella legge fisica hanno a che fare con noi, la consapevolezza che in un certo senso dipendiamo da essi, non è che un lontano presentimento.

Certo, è difficile immaginare, ad esempio, il lavoro degli enzimi che nelle nostre cellule partecipano alla duplicazione del DNA, o la trasmissione degli impulsi nervosi che dal cervello raggiungono, in una frazione di secondo, qualunque parte del nostro corpo. Personalmente mi vengono i brividi quando cerco di rendermi conto di tutto ciò che accade dentro di me senza che me ne accorga. Per non parlare del concetto di fotone: una particella di luce che però non è proprio una particella, ha una frequenza, come le onde, viaggia alla velocità della luce e ha massa uguale a zero. Fantascienza. Non mi avventuro, perché non ne sono in grado, nella matematica che traspare dalla realtà, dalla natura che ci circonda, ma una persona più preparata potrebbe scrivere un’enciclopedia a riguardo.

Se ricordassimo come le regole scritte sui nostri libri non siano solo una “materia”, ma il modo in cui funzioniamo e in cui funziona il mondo intorno a noi, impararle sarebbe, non dico più semplice, ma forse più interessante. Ma questo è un concetto, malgrado noi studenti distratti, piuttosto chiaro: se qualcuno ha descritto la respirazione cellulare, è perché davvero nelle cellule dei viventi il glucosio e l’ossigeno vengono trasformati in energia, acqua e anidride carbonica. E se succede davvero, succede anche nelle mie, di cellule.

Dietro a quelle pagine piene di formule si nasconde qualcosa di meno immediato, e forse più sorprendente, qualcosa per cui devo contraddire ciò che ho scritto e ragionare su un piano più astratto. Alcuni concetti legati al mondo scientifico possono essere letti come metafore. Splendide e reali metafore della condizione umana, della nostra vita, non nel senso biologico del termine, ma della vita interiore, fatta di emozioni e pensieri, appunto, astratti.

Una delle caratteristiche che distingue gli organismi unicellulari dai pluricellulari, ad esempio, è la morte. Gli unicellulari, come i batteri o i lieviti, sono potenzialmente immortali. Si riproducono per divisione cellulare e ogni cellula madre, pur smettendo di esistere, trasmette alle generazioni successive tutta la materia di cui è composta, senza mai andare incontro, salvo incidenti di percorso, ad una fine vera e propria. La morte è, se così si può dire, il prezzo che i pluricellulari pagano per la loro complessità, e per i vantaggi che essa comporta. Esattamente come l’uomo paga, con una sofferenza maggiore rispetto agli altri animali, la propria maggiore intelligenza. Non credo che Pascal, definendo l’uomo una “canna pensante”, intelligente e quindi consapevole della propria fragilità, e per questo tormentato, avesse in mente unicellulari e pluricellulari. Ma la natura ha rappresentato lo stesso concetto del filosofo francese, anche se in modo meno esplicito.

Un altro esempio è dato dal concetto di entropia, ovvero il “livello di disordine” nei sistemi, e da ciò che ne deriva. Tutto ciò che esiste in natura infatti si disordina, tende cioè ad abbassare il proprio livello di energia per raggiungere una maggiore stabilità e un maggiore equilibrio con l’ambiente, come succede all’acqua di una cascata che si muove dall’alto verso il basso o ad una tazza di tè che si raffredda.

L’eccezione a questa tendenza è data dai viventi, che sono tali in quanto ordinati. Questo significa che siamo, in qualche modo, in contrasto con l’ambiente esterno, ma ciò nonostante non possiamo fare a meno di scambiare energia con esso. Il punto è che se un essere vivente viene attraversato da un flusso maggiore di energia, entra in crisi. E ha due possibilità: può tracollare, oppure evolversi, raggiungendo un nuovo, superiore ed imprevedibile livello di ordine. Questo processo porta alla comparsa di strutture sempre più complesse, non solo a livello biologico. Fronteggiare un momento di crisi che, se superata, porta ad un miglioramento, è il concetto che sta alla base della nostra crescita, dell’apprendimento, del progresso tecnologico, dell’evoluzione dei rapporti tra noi e le persone che amiamo. Qualunque cosa ci disorienti può essere considerata un flusso maggiore di energia che ci attraversa. Possiamo collassare, oppure lottare per vincere il momento difficile, e raggiungere un “superiore livello di ordine”. Crescere. Imparare da un’esperienza.

È impressionante come un processo chimico-fisico-biologico, alla base di qualcosa di “distante” come l’origine della vita e l’evoluzione, rispecchi così chiaramente ciò che accade durante le nostre giornate.

Ecco il motivo per cui si studia: in ogni argomento, riferito a qualsiasi ambito, si trova qualcosa. Non solo semplici informazioni, che possono piacerci oppure no, essere più o meno interessanti.

Se ci si sforza di leggere in profondità, di pensare a ciò che si studia in maniera non convenzionale, di guardare processi, formule, ma anche poesie e romanzi, da più punti di vista, si scopre qualcosa che parla di noi. E allora quell’argomento, qualunque esso sia, diventa vero, stimolante, appassionante. Compare, ogni tanto, nei nostri pensieri, anche dopo l’interrogazione o l’esame. Ci spinge a parlarne ai nostri amici, o ai nostri genitori. Si stacca dalla massa grigia e indistinta delle “cose da studiare”, e diventa nostro. Una metafora che spiega, forse con un linguaggio che mai avremmo usato, una parte nascosta di noi stessi.

Anna Mondino