Signore e signori, ma voi ve ne accorgete quando la storia vi passa davanti? Non sembra sia così evidente per tutti, ma, piano piano e inesorabilmente, tutto scorre, le cose cambiano. E in questa rivoluzione impercettibile l’ombelico sta in un’isola che è un piccolo pezzo di terra in mezzo all’oceano, che è un pezzo di nostalgia in mezzo alla frenesia, che puzza di sigaro e ha i colori della bandiera, delle foglie del tabacco e dei Tropici. A Cuba è cambiato il mondo, sta cambiando il mondo e, come in tutti i lenti processi storici, la memoria sceglie di selezionare dei simboli, delle particolarità, perché ricordare tutto sarebbe troppo difficile. E quindi quando nomini Cuba a te viene in mente il faccione barbuto di Ernesto Che Guevara e forse ti chiedi perché il fotografo Alberto Korda non si era preso i diritti per la foto più famosa e riprodotta del Guerillero Heroico. Poi ti rispondi che Alberto Korda era cubano, credeva nella rivoluzione e non voleva guadagno per sé, ma per tutti e così capisci che forse nella storia le cose vanno quasi sempre in una certa direzione, ma c’è lo spazio per gli uomini e il loro libero arbitrio. Oggi Cuba non è solo più Che Guevara, Fidel Castro, i sigari, le spiagge, il Buena Vista Social Club, Guantanamera e il rum di L’Havana. Da qualche tempo, dopo operazioni diplomatiche complesse, l’isola più grande dei Caraibi, punto di riferimento di un’ideologia con le sue ragioni e con le sue contraddizione si è aperta al mondo. Qualcuno ti dice: <<Se non sei mai stato a Cuba, vacci ora! Prima che cambi tutto, che gli Americani ci portino le industrie e i fast food>>. Forse hanno ragione, Cuba fino a poco tempo fa poteva avere il sapore di un angolo di mondo che nella sua polvere e nel suo sudore manteneva ancora la purezza di un tempo passato, mentre l’inevitabile americanizzazione sporcherà questo candore ideale. Eppure, anche i nostalgici e i romantici dovranno rendersi conto che questo cambiamento darà al “Isla Grande” e ai suoi abitanti maggiori libertà: quella di viaggiare e addirittura quella di ascoltare la musica. Infatti, a Cuba il regime dei Barbudos aveva vietato di passare in radio e di acquistare i dischi dei gruppi rock americani e britannici, colpevoli di rappresentare un Occidente devoto agli eccessi del capitalismo. Un cubano non dovrebbe conoscere né Elvis Presley né i Beatles, eppure, per fortuna, la musica non si può sequestrare e, quindi, gli echi delle note del rock ‘n roll sono arrivati fino a L’Havana e dintorni. Ma quando il 25 marzo 2016, due giorni dopo la visita storica del Presidente Obama, a sancire ufficialmente il disgelo, alla Ciudad Deportiva della capitale si sono esibiti i Rolling Stones, quasi tutti avranno pensato quello che il leader dello storico gruppo britannico, Mick Jagger, ha urlato nel microfono: “Los tiempos estàn cambiando, finalmente”. Un concerto gratuito a cui hanno partecipato 250000 persone e che ha simbolicamente dato inizio a una nuova era. Certo, tra molti anni ci ricorderemo di Obama a Cuba, ma più probabilmente la nostra memoria assocerà al disgelo e al riavvicinamento tra Cuba e l’occidente una folla sotto un palco che canta “I can’t get no satisfaction” con tutta la soddisfazione del caso. It’s only rock ‘n roll, cantano gli Stones, eppure ha un significato simbolico che sposta di almeno un po’ il corso della storia e, se ci pensate, questo è l’intento delle canzoni, che non hanno un potere fisico, ma possono avere un valore simbolico che abbatte i muri e unisce i popoli. Dopo la rivoluzione islamica del 1979, l’Iran proibì la musica rock. La risposta fu affidata al gruppo punk rock dei The Clash che furono protagonisti di un pezzo di successo mondiale, dal forte contenuto sarcastico: “Rock the casbah”. Quindi Cuba e la linguaccia dei Rolling Stones sono soltanto un’altra tappa compiuta da quei rockettari, spesso imprigionati in problemi di droga o alcolismo, che, però, con la loro musica sono stati in grado di suonare, in qualche modo, la libertà, forse senza neanche volerlo seriamente. È strano assegnare a un certo tipo di musica un ruolo così importante, eppure è proprio chi la proibisce a conferirle importanza. Da nostalgico e romantico, anche io in cuor mio spero che i cubani vedano il cambiamento imminente come un’opportunità, ma non un obbligo. Spero che non perdano la loro identità e che non vogliano a tutti i costi riconoscersi in modelli a cui non hanno mai potuto guardare. Il mondo occidentale e gli Stati Uniti d’America non offrono per forza delle soluzioni giuste, ma, in ogni caso, sono un’opzione, che prima a Cuba era stata arbitrariamente esclusa. Spero vivamente che Cuba e i cubani mantengano i loro colori, i loro odori, i loro suoni e le loro tradizioni, perché non è vero che si conservano solo chiudendosi entro se stessi. Mick Jagger sul palco ha detto che è sempre bello visitare una nuova città. Signore e signori, sarà anche solo un concerto, sarà anche solo stato un affare di poche ore, sarà anche stato considerato una piccola Woodstock da parte di quelli che a Woodstock volevano andare, ma non potevano, insomma sarà anche stato solo rock ‘n roll, ma, come dice il pezzo dei Rolling Stones, mi piace.
Marco Brero