Un gioco, a mio parere, per essere considerato un capolavoro sotto tutti gli aspetti deve riuscire a “toccare le corde dell’anima” del gamer. Mi spiego: esso deve diventare parte stessa della vita della persona, deve essere recepito come un’esperienza compiuta e deve essergli d’aiuto nella vita. Vi sono pochi titoli che, a mio modesto parere, possono fare ciò e voglio portare alcuni esempi di videogames che mi porterò sempre dietro. Uno dei tanti che mi ha insegnato com’è il mondo, la vita reale e come si svolgono le interazioni tra persone è stato “Final Fantasy XI”. Questo titolo è un j-rpg ovvero un gioco di ruolo di stampo giapponese (da non confondere con i gdr occidentali che presentano caratteristiche diverse, come si può osservare ad esempio in Fallout) che presenta meccaniche di gioco semplici, che anche un bimbo di 9 anni potrebbe comprendere, dunque è facilmente accessibile a tutti, ma esso rappresenta con queste sue meccaniche un’interpretazione semplicistica del mondo e da ciò un bambino può intuire com’è che è strutturata la “realtà esterna”.
Come già citato in precedenza un altro gioco che rimarrà sempre nel mio cuore è Fallout, uno dei più bei gdr mai prodotti della Bethesda. Grazie alle molteplici e continue scelte che devono essere affrontare dal giocatore, che si suddividono quasi sempre in buone, cattive e neutre, egli può comprendere la sua indole. Inoltre può proiettare se stesso o chi vorrebbe essere in questo titolo immedesimandosi in un personaggio, che risulta essere plasmato, da colui che detiene il controller, fin dalla sua nascita. Insomma si può essere essi stessi oppure chi si vorrebbe essere e tutto ciò può cambiare la trama è condurre ad uno dei tanti finali previsti. Un altro titolo che ho ammirato molto è “Halo”, sopratutto il terzo e il prequel “Halo Reach”.
I videogiochi possono anche insegnare. Con ciò non si vuole affermare che i videogame possano sostituirsi ad insegnanti e libri, ma che si possano affiancare ad essi. “God of War” ad esempio è utile poiché insegna la mitologia greca essendo ambientato nella Grecia del 400 a.C. “Dante’s Inferno” invece immerge il giocatore nell’Inferno descritto da Dante, con relativi personaggi e mostri presenti nella Divina Commedia. Giocandoci il bambino e/o ragazzo impara indirettamente nozioni di cultura generale come gli dei dell’Olimpo e i relativi miti ad essi collegati o i nomi e le pene che vi sono nell’ inferno dantesco. “Nazi-Zombie”, modalità multiplayer contenuta all’interno dei vari “Call of duty” 5,7 e 9 invece stimola la collaborazione tra i vari membri della squadra: è impossibile sopravvivere a ondate sempre crescenti di non morti da soli. In questo modo il videogiocatore socializza con le altre persone anche di nazionalità diverse e si diventa così “amici”. In questo modo il videogiocatore impara che la collaborazione è un elemento fondamentale se si vuole riuscire in un’ impresa.
Alcuni videogiochi riprendono anche filoni letterari come ad esempio la letteratura distopica o fantascientifica. Un esempio di gioco distopico è “Wolfenstein: the new order” nel quale si immagina come sarebbe il mondo se la Seconda Guerra Mondiale fosse stata vinta dai tedeschi. La situazione politico-sociale è la stessa presentata da Orwell in 1984: una società oppressa da un controllo soffocante, continue rastrellazioni, nessuna libertà di pensiero e di opinione e il potere in mano ad un singolo partito politico; questi sono gli elementi che legano questo testo al videogame. Un gran numero di giochi invece riprendono l’altro filone, ossia quello fantascientifico come ad esempio “Halo”, che è ambientato nel 2264, un futuro in cui l’uomo ha colonizzato metà dell’universo, oppure “Killzone”, ambientato nel 2100 circa in un mondo iper-tecnologico.
Si può affermare infine che il videogioco, al di là del suo scopo primario, il divertissment, presenta dei lati “oscuri”, visibili solo se si ha un certo grado di maturità e cultura. Esso non è né totalmente negativo né totalmente positivo. Presenta aspetti costruttivi, come la spinta alla collaborazione, e distruttivi, come ad esempio i videogiochi il cui unico scopo è distruggere o uccidere per il puro piacere di farlo.
Bisogna comunque sempre ricordare che i videogiochi rimangono videogiochi e non sono realtà. Confondendo videogioco e realtà si rischia di perdere l’inibizione che le regole sociali e comportamentali ci impongono per vivere in una comunità di persone. Nel videogame infatti non si è costretti a seguire regole ma queste le crea il videogiocatore stesso.
A mio parere videogiocare è bene, ma con coscienza e moderazione al fine di non confondere realtà e finzione, e di interpretare (in modo personale) il messaggio che essi ci voglio trasmettere.
Daniele Dutto