Cari adulti, anzi, cari bambini degli anni ’50, ’60, ’70, ’80. Voi che, da quanto raccontate, andavate a dormire dopo Carosello. Che siete cresciuti leggendo le strisce dei Peanuts, che c’eravate quando i Beatles si sono sciolti e avete visto nascere i Queen.
Voi che, in molte occasioni, non resistete alla tentazione di osservare i bambini e gli adolescenti di oggi, e di paragonare i primi anni della vostra vita ai loro, decretando quasi sempre che la vostra infanzia è stata “migliore”, più sana ed autentica di quella che si vive oggi.
Noi, i bambini degli anni 90 e tutti i nati nel nuovo millennio, vi sentiamo spesso affermare come, sotto mille punti di vista, qualche decina d’anni fa si crescesse meglio, più responsabili, più socievoli, con un’educazione più severa e più efficacie.
Quando eravate piccoli voi non c’era internet da cui copiare i compiti. Di certo Wikipedia ha aperto un mare di possibilità a noi studenti moderni, ma non provate a convincerci di non aver mai fatto un “copia e incolla” ante litteram da un’enciclopedia o da un articolo di giornale.
Non c’erano intolleranze alimentari, bevevamo tutti dalla stessa bottiglietta e non era un problema per nessuno, tornavamo a casa con le ginocchia sbucciate e nessuno se ne preoccupava. Prendete un gruppo di bambini di oggi e lasciateli liberi dall’influenza dei genitori per un pomeriggio. Perderanno tempo a cercare dei bicchieri? Smetteranno di giocare per disinfettare una ferita? Se sono obbligati a farlo è quasi sempre a causa di un genitore. E proprio quel genitore fa parte della generazione dei “bambini sani e non iperprotetti” degli anni ’50, ’60, ’70, ’80.
Nessuno era dislessico, disgrafico o iperattivo. C’erano semplicemente quelli che a scuola non brillavano, e nessuno andava dallo psicologo per questo. Chi era lento a leggere faceva un lavoro che non lo richiedesse, mica bisogna essere tutti medici o avvocati. Anche oggi c’è chi a scuola non brilla. Ma ci sono anche bambini con un disturbo specifico dell’apprendimento, ed è troppo facile dirsi che se la caveranno anche così. Guardate un bambino disgrafico mentre scrive. Che conosce e ripete a voce alta le lettere che compongono una parola ma non riesce a ricordare che forma abbiano, oppure lo ricorda ma non sa fare movimenti abbastanza precisi da scrivere i grafemi correttamente. Dategli un’occhiata, e pensate se davvero lo si può definire solo “lento a scrivere”.
Guardate l’ambiente in cui un bambino di oggi nasce e si trova a vivere, sforzatevi di osservarlo uscendo dal vostro punto di vista, dai vostri ricordi splendidi, forse (e giustamente) un po’ idealizzati. Cercate di vedere l’infanzia di oggi anche nei suoi aspetti positivi. Perché sì, voi avete passato più tempo all’aria aperta, e sì, non comunicavate con gli amici se non faccia a faccia. Ma questa non è una sfida generazionale.
Apprezzate, e lasciateci apprezzare, le possibilità che crescere in questi anni ci ha dato e ci dà. Non spingeteci a vivere la maggiore attenzione che c’è nei confronti di certi disturbi, la possibilità di comunicare con ogni parte del mondo, la nostra capacità di ragionare davanti ad un computer, come qualcosa di negativo.
Lasciateci sfruttare ciò che il terzo millennio ha da offrire, così come voi avete fatto con gli anni in cui “eravate piccoli”. E se tra qualche decennio ci lamenteremo dell’infanzia del 2040, spero che qualche nuovo bambino ci farà vedere il suo punto di vista.