Se c’è una cosa che l’uomo moderno è davvero bravo a fare, è correre. Lo dimostriamo ogni giorno: fin da piccoli impariamo a muoverci all’incalzante ritmo di scuola-casa-amici-compiti-sport, o se preferite, in un altro contesto, lavoro-casa-famiglia-amici-sport-supermercato-traffico…aggiungete le situazioni in cui vi rispecchiate. Per moltissimo tempo si può vivere su questa giostra senza rendersene conto, col rischio di realizzarlo all’improvviso e avvertire un terribile desiderio di cambiare vita, di trasferirsi nel cuore di un bosco, o su un’isola deserta in cui esistono solo palme e sabbia bianca.

Ma perché organizziamo la nostra vita in modo da dover continuamente correre? È troppo facile pensare che la società ce lo imponga, come una regola assoluta da rispettare se vogliamo far parte del “sistema”.

C’è chi afferma che correre sia un meccanismo di autodifesa, un espediente che ci inventiamo per non dover fare i conti con istanti “vuoti” in cui siamo spinti a pensare, a riflettere e forse a giungere a conclusioni – su di noi, su chi ci sta vicino, su ciò che facciamo – scomode.

“Ridurre al minimo le ore in cui è più facile che si presenti a noi questo odiato fantasma del tempo” scrive Eugenio Montale nell’articolo del 1961 “Ammazzare il tempo”. Abbiamo la necessità di fare, di non fermarci mai, tanto che cerchiamo di riempire di impegni anche quello che chiamiamo “tempo libero”, perché ci spaventa l’idea di avere un momento che ci costringa ad accettare i pensieri che cerchiamo di allontanare. In breve, corriamo perché abbiamo paura di farci male fermandoci.

Di certo questa è una faccia della medaglia. Ma non l’unica. Se dovessimo semplicemente evitare di pensare, basterebbero un divano e un televisore. Ciò che ci spinge a correre in bilico tra mille impegni è anche il non voler rinunciare a nessuno di essi. Perchè ognuno è un aspetto della nostra vita che in qualche modo la rende unica, e non la sentiremmo nostra se non fosse formata dai mille pezzetti che compongono le nostre giornate. E per quanto correre possa essere stancante e faticoso, siamo disposti a farlo, ad arrivare a casa la sera con i piedi doloranti ma sapendo di aver riempito il nostro tempo di tanti momenti che ci hanno fatti stare bene.

Ogni tanto avvertiamo comunque l’impulso di scappare, di fermarci per un po’, di allontanarci dalla pista per prenderci una pausa. Ma questo non significa per forza non volerne sapere della nostra vita abituale: è semplicemente un momento in cui abbiamo bisogno di riprendere fiato, per poi rimetterci a correre con più grinta e più passione.

Non è una corsa contro qualcun altro; non c’è un primo o un secondo classificato. È una corsa in mezzo ad uno splendido paesaggio, in cui se acceleriamo è solo per vederne il più possibile. Mettere un piede davanti all’altro meccanicamente, con gli occhi chiusi e le orecchie tappate per scacciare i pensieri, è un modo di affrontare questa strada, ma di certo ci fa perdere qualcosa. Correre ad occhi aperti, ammirare ciò che ci sta intorno, fermandoci quando serve e ripartendo quando siamo pronti…credo sia il miglior modo per godersi il viaggio.

Di Anna Mondino