Non tutti, forse, sanno che Richard Nixon, trentasettesimo presidente degli Stati Uniti, ricordato universalmente (e quasi esclusivamente) per lo scandalo Watergate, ormai più di quarant’anni fa, allarmato dalla crescente minaccia che tale patologia costituiva, dichiarò “guerra” al cancro, con il National Cancer Act (1971). In altre parole, a partire da quel momento, sul trono delle priorità scientifico-tecnologiche degli USA non sedette più la fisica, bensì la biologia, elevata indiscutibilmente a scienza regina. L’interesse fino ad allora rivolto alle missioni spaziali e alla fisica nucleare fu incanalato, almeno in parte nella biomedica e nella ricerca. Ebbene, dopo un quarantennio di guerra senza frontiere, contro un nemico che colpisce senza discriminazioni di razza, classe sociale e orientamento politico, dove siamo giunti?
Oggi, grazie al formidabile progresso scientifico dell’ultimo cinquantennio, sappiamo esattamente che cosa sia il cancro, come si generi e come progredisca; ne conosciamo le basi molecolari e il comportamento patologico, al punto da essere in grado di delineare quale sia il possibile decorso della malattia e, possibilmente, da elaborare terapie mirate.
Il discorso è molto semplice: l’essere umano è costituito da un elevatissimo numero di cellule (in base a stime recenti, 100 mila miliardi), contenenti tutte lo stesso identico patrimonio genetico, sia quantitativamente che qualitativamente, racchiuso nel loro nucleo sotto forma di DNA. Tutte queste cellule derivano da una singola cellula “capostipite”: lo zigote, che si forma al momento della fecondazione dall’unione tra la cellula uovo femminile e lo spermatozoo maschile. Lo zigote può praticamente tutto, Aristotele lo definirebbe la “potenza” massima: per divisione e differenziamento può diventare qualsiasi cosa, tant’è che è stato definito “cellula staminale totipotente”. Da esso derivano le cellule che formano il nostro cervello così come quelle che assemblano i nostri organi interni e gli arti. Tutto da una singola cellula. Essa va incontro a divisione cellulare, dalla quale si formano due cellule; queste andranno incontro al medesimo destino, e ne otterremo quattro; da queste quattro, otto, e così via, originando tutte le cellule che formano il corpo umano, classificate in circa 200 tipi diversi, che formano tessuti diversi, che a loro volta costituiscono differenti organi. Come sia possibile che da una cellula originino cellule così differenti è stato presto spiegato nel corso della storia della biologia: tutte le cellule, come detto, hanno lo stesso patrimonio genetico, ossia gli stessi geni; tuttavia hanno anche la capacità di esprimere questi geni in modo diverso, cioè di silenziarne alcuni e impiegarne altri in base al proprio programma di differenziamento; per questa ragione un globulo bianco appare così diverso da un neurone, pur avendo entrambi, alle origini, lo stesso progenitore. Possiamo immaginare il programma di differenziamento cellulare come un enorme albero con innumerevoli ramificazioni: il tronco rappresenta lo zigote, le ramificazioni sono le diverse vie differenziative che le cellule intraprendono man mano che l’organismo cresce, da embrione a feto, da feto a neonato, da neonato ad adulto. Le foglie alle estremità dei rami rappresentano le cellule completamente differenziate: cellule muscolari, pneumociti, osteociti, astrociti, linfociti e così via. I punti di biforcazione dei rami rappresentano invece un concetto chiave nella comprensione di cosa sia e come agisca il cancro: quello di staminalità. Essa non è nient’altro che la capacità, propria di una cellula non differenziata, di andare incontro a differenziamento e dare origine a cellule diverse. Va da sé che più le biforcazioni sono prossime al tronco, più la capacità di intraprendere, ramificazione dopo ramificazione, vie diverse è elevata (cioè è elevata la staminalità). Di qui deriva la suddivisione delle cellule staminali in base alla loro potenzialità differenziativa; partendo dal tronco: totipotenti, pluripotenti, multipotenti e unipotenti. Queste ultime sono quelle cellule che possono dare origine a un solo tipo di cellula differenziata, essendone l’immediato precursore: possiamo immaginarle come le estreme propaggini dei rami che precedono le foglie.
Grazie a questa schematizzazione risulta più semplice comprendere come agisca il cancro: esso è dovuto alla mutazione, o meglio alla concomitanza di più mutazioni, a carico di una stessa cellula. Le mutazioni colpiscono i singoli geni e alterano il comportamento della cellula. Ne consegue che alcune di esse potranno essere del tutto irrilevanti e prive di conseguenze, mentre altre, a seconda del tipo di cellula colpita, più o meno gravi; se ad essere colpita da mutazione è una singola cellula epiteliale, questo non causerà alcun effetto: nel giro di pochi giorni essa morirà e verrà rimpiazzata, senza che noi ce ne accorgiamo; se invece la mutazione è a carico di una cellula più a monte nell’albero differenziativo, ad esempio di una cellula emopoietica, potremo avere conseguenze molto gravi, come la leucemia.
La malignità di un tumore, in altre parole, è inversamente proporzionale al differenziamento della cellula colpita da alterazione genica: se viene colpita una delle miliardi di foglie o una delle cellule più lontane dal tronco si potrà originare, nel peggiore dei casi, un tumore benigno, cioè differenziato; se viene colpito un grosso ramo vicino al tronco possiamo andare incontro a una completa disfunzione di un’intera linea cellulare o tissutale (si parla pertanto di “cellule staminali del cancro”). Questo ramo prolifererà e si differenzierà, originando cellule tutte recanti la mutazione del progenitore, e costituendo quello che è definito tumore maligno, le cui cellule sono in grado, proprio perché poco differenziate, di muoversi dal tessuto di origine e invadere tessuti anche molto lontani, raggiunti tramite i vasi sanguiferi (metastasi).
Insieme a quello di staminalità, l’altro concetto chiave per comprendere il cancro è quello di proliferazione: tutte le cellule staminali vanno incontro a proliferazione; quelle più a monte nella via differenziativa hanno il compito di preservarsi e di originarne altre a cui destinare il compito di proliferare e originare i tessuti. Queste sono dette “cellule del complesso di amplificazione transiente” e, benché non godano del medesimo grado di staminalità delle loro progenitrici, hanno un alto potenziale differenziativo: sono numerose e si dividono frequentemente, formando un gran numero di cellule differenziate che andranno a costituire il tessuto definitivamente formato. Ebbene sì, “definitivamente”. Infatti, una volta che il tessuto ha raggiunto le sue dimensioni fisiologiche e può ottemperare perfettamente alle funzioni a cui è destinato, cessa di crescere. Ciò non significa che le cellule staminali smettano di proliferare, ma diciamo che rallentano il loro frenetico lavoro, in modo da limitarsi a garantire il ricambio generazionale e rimpiazzare cellule morte con cellule appena formate. Questo è quanto avviene normalmente, nell’ambito della fisiologia. Si sfocia invece nella patologia quando questo processo, che, come abbiamo visto, dovrebbe arrestarsi, non si arresta né si limita, ma continua imperterrito. La proliferazione, a causa di mutazioni a carico di una cellula staminale più o meno potente che l’ha tramandata alle sue cellule figlie, prosegue, originando quello che è stato intuitivamente definito tumore (dal latino “tumor”, gonfiore).
Il cancro è pertanto uno sviluppo aberrante di un tessuto ed è caratterizzato, come tale, sia da cellule staminali che da cellule differenziate. Le prime costituiscono la fonte di rinnovamento per le seconde, che invece rappresentano la “massa” vera e propria, quella che forma la maggior parte del tessuto tumorale. Possiamo immaginarle rispettivamente come le radici, ben nascoste e protette sotto il suolo, e le erbacce, visibili e ben riconoscibili. Ad oggi siamo oltremodo attrezzati nel tagliare queste erbacce e col tempo siamo divenuti sempre più abili nel farlo: da un lato la chirurgia, dall’altro la chemio- e la radio-terapia, tutti strumenti volti a ridurre e rimuovere le masse tumorali. Tuttavia, spesso, ancorchè queste tecniche possano recare giovamento al paziente, si può andare incontro al rischio di “recesso” del tumore. Questo avviene perché, sfortunatamente, le cellule staminali del cancro da un lato manifestano, a differenza di quelle differenziate, una maggiore resistenza ai chemioterapici, e dall’altro non sempre vengono rimosse completamente durante un intervento chirurgico. Questo comporta che queste cellule, queste “radici”, rimangano nel paziente, pronte a dare avvio a una nuova proliferazione e alla genesi di un nuovo tumore. Mai trovò applicazione più adeguata il detto “tagliare il problema alla radice”. Per fare questo, per estirpare il cancro, occorre prima di tutto colpire le cellule staminali che lo generano e lo riforniscono. A questo proposito si stanno conducendo studi e sperimentazioni in ogni centro di ricerca, per trovare terapie molecolari o geniche che possano contrastare il cancro. Ciò potrebbe sembrare utopico dal momento che ci sono circa 25.000 geni in ogni cellula e che abbiamo centinaia di miliardi di cellule, e che, teoricamente, ognuno di questi geni in ognuna delle nostre cellule potrebbe andare incontro a mutazione, creando una varietà quasi infinità di tumori diversi. Per fortuna però i geni che mutano e che sono responsabili della cancerosità sono un numero limitato; inoltre diversi tipi di tumori sono da imputarsi a mutazioni diverse. Ciò significa, ad esempio, che la mutazione di un gene x in una cellula del fegato può non avere conseguenze, mentre la mutazione dello stesso gene in un cellula dell’intestino può causare un tumore maligno. Sulla base di queste conoscenze si stanno sperimentando farmaci mirati, che, si spera, possano inibire le cellule staminali del cancro permettendo così di risolvere un giorno il problema alla radice. Di certo non è possibile trovare una “cura” per il cancro come se fosse un raffreddore, perché, come si è visto, è una malattia complessa, che si presenta in innumerevoli varianti diverse le une dalle altre. Quello che si può fare è trovare una terapia standard mirata per i vari tipi di tumore, a partire da quelli più diffusi nella popolazione, ed è esattamente in questa direzione che si sta muovendo il mondo scientifico. È grazie a questi studi e a questi farmaci se ogni tanto ci capita di leggere su un giornale o su internet di quel paziente con un linfoma metastatico guarito completamente nel giro di poche settimane, ed è grazie a queste notizie che possiamo guardare al futuro con cautela ma anche con fiducia.
Di Diego Dalmasso