Un altro anno di scuola è iniziato. Lunedì scorso migliaia di ragazzi e centinaia di professori sono tornati a calpestare quei vetusti edifici dove si cerca di trasmettere un’avvincente cultura millenaria agli adolescenti. Conoscenze storiche, letterarie, assiomi matematici e linguaggio informatico dal libro all’allievo, o forse sarebbe meglio dire, dal libro al contenitore. Sì, perché quando un professore entra in classe e, guardando i pavidi alunni del primo anno, esclama “Siete troppi, prima del triennio vi ridurremo”, si perde ogni speranza di umanità in quel luogo dove tra il docente e gli alunni si dovrebbe creare una relazione più umana possibile. Nessuna minaccia, niente ricatti. Una relazione in cui uno dona all’altro ciò di cui l’altro ha bisogno.

A Torino una classe di “primini” ha iniziato differentemente il proprio anec35254dcca162614509d539c8e55accno liceale. Il professore di lettere della prima ora ha portato i ragazzi all’ingresso del Campus Einaudi, il nuovo complesso universitario cittadino. Gli alunni avevano il compito di intervistare gli studenti più grandi. “Sei speranzoso per il tuo futuro?”. “Perchè?”. Ecco le due semplici domande che il prof di lettere ha chiesto ai propri allievi di porgere agli studenti universitari. Due domande forse banali e stupide, ma così semplici da lasciare molti giovani a bocca chiusa.

Tornati in classe per la seconda ora i dati sono stati analizzati ed emergeva un amaro pareggio tra il sì e il no. Per ogni studente di giurisprudenza uno è fiducioso, l’altro meno. Uno è ambizioso, l’altro rinunciatario. Lo stesso per scienze politiche, economia, lettere, psicologia e così via. Uno ottimista, l’altro più sfiduciato. Scendendo nei dettagli, gli alunni hanno notato che lo scontro tra il sì e il no non dipende dal percorso di studi universitario, ma è una questione interna per ogni facoltà. Giuristi ottimisti contro giuristi pessimisti. Economisti fiduciosi contro economisti sfiduciati. E i perché si dividevano in due battaglioni. Chi è disperato per l’attuale situazione e abbandona le proprie speranze nel diffuso malcontento del saturo mondo lavorativo ancora prima di entrarci, contro chi è energico e grintoso nel voler creare la novità, nel voler dare una boccata d’aria alla propria generazione e al proprio paese in questo mondo così soffocato dal caos danzante di un’economia ripetitiva decennio dopo decennio.

Poco prima del termine della seconda ora, il professore si è messo in piedi dietro la cattedra. Sedia, mano sul bordo della lavagna e poi scarpe sopra il registro con passo deciso. Spinto da quel film che lo iniziò alla sua professione, nelle vesti del prof Keating de “L’attimo Fuggente”, in piedi sulla cattedra, con tono pacato, ma emozionato e emozionante, ha detto: “Ragazzi miei, in questi cinque anni cerchiamo di imparare a sorridere al nostro futuro. Quanto studiamo non dimentichiamolo. Ridiamo, scherziamo e cresciamo uno a fianco all’altro. Leggiamo in Dante e Dostoyevsky noi stessi. Mettiamo qui, insieme, le basi del nostro domani e in questo mondo, dove vivremo insieme l’uno con l’altro, scegliamo noi come guardare alla vita, al futuro. Siamo tutti sulla stessa barca, sta a noi remare in una certa situazione. E con le mie ore di lettere farò di voi giovani che sapranno guardare al proprio domani con la forza di voler realizzare se stessi, scrivendo un capitolo nuovo in quel grande libro ancora bianco che si chiama mondo. E voi e le vostre storie di vita, sarete per me ogni giorno, anzi già siete, uno stimolo nuovo per iniziare alla grande.”

Dopo attimo fuggente-kPqC-U43030219176727lXG-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443-1il suono della campanella il professore è tornato con la sua borsa a tracolla, lasciandosi la classe dietro la porta, in aula insegnanti ed è andato a sedersi di fronte al professore intento a sterminare i propri allievi. L’uno guardava verso l’alto, l’altro aveva lo sguardo fisso al pavimento. L’incipit di ogni storia liceale è la stessa, aula e banco. Il proseguimento è studio e verifiche. Tutto, forse, o molto probabilmente, dipende dalla prospettiva con cui si affronta la realtà. Vero o falso?

Nel frattempo si è già alla seconda settimana di scuola.

 

Luca Lazzari