Non sono i piccoli gesti né poche parole a cambiare il corso delle cose, eppure sarebbe sbagliato pensare che la storia va così perché è così che deve andare. Siamo di fronte a una crisi umanitaria che potevamo e dovevamo aspettarci, perché a monte dell’ondata migratoria di cui ogni giorno i mezzi di informazione parlano c’è la guerra. Ed è una guerra che nel silenzio degli ultimi anni ha continuato a divampare, anche se sembriamo dimenticarcene. Proprio per questo, ora i governi e i cittadini europei si trovano nella difficile situazione di dover pensare all’accoglienza dignitosa di migliaia di profughi, che fuggono da una terra inabitabile e da un caos che la cecità dei potenti ha contribuito a creare. Non dico che l’intricato gomitolo della situazione politica del Medio Oriente (ma anche quella del Nord Africa è tutt’altro che chiara) sia semplicemente risolvibile con accordi diplomatici, ma la sensazione è che neanche siano cominciate serie trattative per la pace. Quello che è evidente è che nel mondo che si professa ormai addirittura oltre la modernità, civile e consapevole, ciò che vale di più è ancora la logica della violenza e delle armi. Perciò, risulta incomprensibile la posizione di tutti i governi nazionali e, soprattutto, il fallimento dell’ONU che purtroppo dovrebbe poter controllare il panorama internazionale, garantendo la sicurezza di tutti i cittadini del mondo, mentre appare, invece, un complesso miscuglio di burocrati in giacca e cravatta che ha tempi di reazione lentissimi. Quello che serve, al di là di ogni retorica, è la pace immediata, l’unica condizione attraverso la quale è possibile cercare di garantire a tutti, senza discriminazioni, il benessere, la salute e l’educazione. Potrebbe sembrare troppo semplicistico e ottimista, ma la soluzione pacifica esiste: occorre isolare i facinorosi e favorire una discussione democratica che porti a un esito condiviso dai popoli e dalla comunità internazionale. In mancanza di questo si continueranno a nutrire i regnanti del mondo al contrario: i produttori di armi, i politici di ogni lato del parlamento, dalla maggioranza all’opposizione, che cavalcano le frustrazioni di elettori che vivono un periodo di grave crisi economica, spostando l’obiettivo del dissenso e della protesta su argomenti razzisti o di presunta sicurezza nazionale, i giornali e i mezzi di informazione, che non sempre testimoniano il grave stato dell’arte, ma disegnano  ingannevolmente realtà inesistenti, con il preciso intento di vendere qualche copia in più o essere più visti o ascoltati rispetto ad altri. Più di ogni altra cosa, si è scoperto che oltre al gigantesco guadagno che una guerra può creare, c’è un indotto economicamente molto interessante che è quello del trasporto dei migranti. Sono sempre di più le storie di scafisti e approfittatori di ogni genere che promettono la fuga a chi ne ha bisogno vitale: non c’è vergogna più grande di chi si approfitta dei disperati. Insomma, in questo momento storico, l’Europa e il mondo intero hanno una grande opportunità, la si chiami “riscatto” o semplicemente “dovere”, perché è in gioco il significato stesso della parola “civiltà” che spesso ci vantiamo di rappresentare. L’Europa ha l’enorme occasione di intervenire con il suo peso politico (non militare) per avviare le trattative di pace, di inviare aiuti umanitari di qualità, di accogliere chi fugge offrendogli educazione, salute e sostegno in attesa che sia il suo Paese di origine a farlo. E non sarebbero gesti eroici, perché se in questo mondo chi fa il giusto diventa un eroe o un’eccezione, allora la speranza è sempre più fioca. In gioco ci sono grandi responsabilità e parecchi ostacoli, ma difficilmente la via più facile è quella giusta. In questo caso la via più facile sarebbe voltarsi dall’altra parte, aspettando che i rumori del dramma, ancora abbastanza lontani da noi, si affievoliscano da soli. La via da seguire, invece, a mio parere, è quella, prima di tutto, di prendere decisioni a cui molti cittadini si opporrebbero (perché, come direbbe Faber, chi non terrorizza si ammala di terrore), di imporre la pace a chi puntando le armi al cuore di interi popoli urla “Mani in alto!”, non con altra violenza, ma con l’irresistibile forza di una miriade instancabile di mani tese. Perché si tende la mano per aiutare chi è caduto a rialzarsi, per sancire un accordo, per dimostrare vicinanza e partecipazione, per un semplice gesto di pace. Così semplice che sembra impossibile, in questo mondo al contrario che da solo non si raddrizzerà.

Marco Brero