“Come riuscirò a tenere accesa l’attenzione di un liceale alla mia prima lezione?” potrebbe chiedersi un neo-professore che ha appena ottenuto una cattedra a tempo determinato o una sostituzione fortuita, arrivata magari dopo mesi passati a casa senza lavoro. Una sfida che i più coraggiosi raccolgono ancora ogni giorno, nonostante siano anni che mettono piede in un decadente edificio scolastico qualunque. I docenti più fortunati sfruttano l’attinenza di argomenti inerenti alla loro materia con fatti e problemi legati all’attualità per stabilire dei collegamenti che aiutano a sviluppare la lezione su molteplici fronti; come accade sovente nelle ore di filosofia, storia, italiano ecc. Ma, se foste nei loro panni, parlereste ancora di “fortuna”? Mettere a disposizione degli studenti tutti gli strumenti per far sorgere in loro dubbi e scavare a fondo nelle loro coscienze potrebbe da un lato contribuire notevolmente alla formazione di un concetto di partecipazione e cittadinanza (valori che sembrano ormai sconosciuti alle nuove generazioni), ma allo stesso tempo rischierebbe facilmente di evidenziare lo stato di apatia in cui ristagna la maggior parte dei giovani al giorno d’oggi. Non c’è nulla che possa creare un sentimento di sconforto maggiore della mancata partecipazione e presa di coscienza, come testimoniano gli occhi delusi di un professore davanti agli sguardi vuoti di ragazzi che non alzano la mano per esprimere la propria opinione.
D’altronde, chi non si è posto almeno una volta la domanda: “Cosa interessa davvero a un ragazzo di diciotto anni?”. Raggiunta la maturità legale, quando ognuno dovrebbe oramai essere pronto a prendersi le proprie responsabilità civili ed ad avere un ruolo attivo nella società, nella maggior parte dei casi mancano le basi per la costruzione di un individuo cosciente e responsabile. Default dell’educazione ricevuta o cattivo impiego dei mezzi di informazione? Se una classe di liceo venisse rinchiusa per una settimana in una stanza con alcuni viveri ed un computer con accesso ad internet, quanti si preoccuperebbero di verificare le notizie dei giornali sui fatti del mondo, oltre a navigare sui social networks?
Scappare anche solo per un istante dalla routine di tutti i giorni, che ci riserva tranquillità e abitudini consuete, è ciò che spaventa di più un giovane liceale come me. Vorremmo tutti poterci occupare solo degli affari che ci riguardano, senza rendere conto a nessuno delle nostre azioni. L’indifferenza verso tutto ciò che sta al di fuori della finestra ci porta inesorabilmente a trascorrere ogni giorno della nostra preziosa esistenza in uno stato di apatia che attenua pian piano tutte le emozioni fino a renderci impassibili di fronte a qualsiasi atrocità ci capiti sotto gli occhi. In questo caso, si può realmente parlare di “vivere”?
Lasciarsi tormentare da dubbi apparentemente senza soluzione o da domande che ci rimbombano nella testa come: “In quale modo posso contribuire al benessere del Mondo?” è un passaggio fondamentale per riuscire a sentirci davvero “vivi”. Ognuno può trovare le questioni che più lo tormentano provando a prendersi anche solo una piccola pausa dal frenetico ritmo quotidiano, spegnere la luce e pensare a quali sono i suoi reali interessi. Per il resto, un’informazione ampia ed attendibile è fondamentale solo nel caso in cui venga opportunamente completata da una conoscenza del mondo che ci spinga a scoprirlo da vicino.
Abbandonare la tranquillità della vita quotidiana per intraprendere un viaggio attraverso le diverse culture e i conflitti che alimentano le vicende globali, ma soprattutto attraverso noi stessi, è il primo passo per poterci “lasciar tormentare” e infrangere finalmente il vetro di apatia che ci intrappola.