È la serie del momento, noi appassionati l’abbiamo già divorata ma, ve lo assicuriamo, vale la pena guardarla indipendentemente dal proprio tifo sportivo o dalla propria vicinanza al basket.
Chi scrive, personalmente, l’ha terminata solo da qualche ora ed ha ancora il cuore e gli occhi pieni di emozioni e giocate uniche. Ma quel che conta sta fuori dal campo. Perché The last dance, il prodotto televisivo di cui tutti parlano, già da tutti riconosciuta come la serie tv sportiva migliore di sempre, è molto più del racconto di un’epopea cestistica.
È tanto altro. Che cosa nello specifico? Abbiamo provato a sintetizzarlo così, con i 6 buoni motivi per cui chiunque dovrebbe guardarla. Sei, come i titoli vinti dai Chicago Bulls e raccontati nel corso della serie.
La trama. Già, perché c’è una trama, esattamente come in una serie tv che si rispetti. C’è un intreccio complesso, per il quale occorrerebbe scomodare i principali studi sulla narrazione classica. C’è un protagonista assoluto, che non a caso compare costantemente e attorno al quale ruota l’intera narrazione. Ci sono i suoi aiutanti, ci sono gli antagonisti e quelli che Greimas avrebbe definito come “opponenti” verso la conquista dell’oggetto di valore, rappresentato dalla seconda “three-peat”, ovvero la vittoria per tre anni consecutivi del titolo di campioni NBA dei Chicago Bulls. E vi sveliamo una cosa: non è finzione, è pura realtà!
MJ. Ovviamente c’è lui, Michael Jordan. Sarebbe riduttivo, forse, definirlo come il più grande cestista della storia e uno dei più grandi atleti mai visti nel corso del ventesimo secolo. Michael Jordan ha rappresentato un’icona per il suo modo di stare nel rettangolo di gioco, di comportarsi al di fuori di esso, di dialogare e discutere con compagni e media. Davvero, se volete capire come nasce un mito, The Last Dance ve lo dirà, attraverso immagini uniche e inedite che raccontano tutto, dalla vita privata al rapporto con le forze dell’ordine, fino ai punti di forza (l’allenamento, la passione, la voglia di primeggiare) e i punti deboli (la morte del padre, il gioco d’azzardo, il carattere talvolta discutibile).
Lo star system (americano). Michael Jackson, Madonna, Elvis Presley, Lady Gaga. C’è un po’ di tutti loro in un serie tv che attraverso la scalata di Michael Jordan e dei Bulls ci racconta passo dopo passo che cosa significa essere un divo. È lo star system inteso all’americana nel suo pieno svolgimento. Il ragazzo di periferia (e di colore) che diventa il più forte di tutti. Basteranno i numeri a certificarlo, come nel caso delle snickers vendute con il nome di Jordan nel primo anno di collaborazione con la Nike (che deve di fatto la sua fama solo ed esclusivamente a lui). Un sistema senza via d’uscita, con i suoi elementi negativi, talmente accentuati da spingere un campione a preferire il silenzio e il ritiro dall’attività (temporanei) alla celebrità quotidiana.
La seconda metà del Novecento in 10 puntate. C’è uno sportivo che ha fatto storia in The Last Dance, ma c’è soprattutto la storia che passa attraverso le gesta di uno sportivo. Già, perché in dieci puntate vi accorgerete di come gran parte delle vicende narrate sono strettamente connesse ai grandi fatti della storia (americana e non) dal Secondo Dopoguerra ad oggi. Dalle proteste studentesche del 1968 alla guerra in Libano, passando per le discriminazioni razziali e l’avvento del consumo di massa. Il quadro di una generazione.
Dennis Rodman. Se non vi entusiasma MJ, esaltato come meritava e forse anche più del dovuto; se non vi affascina più di tanto la storia di una squadra che giocò più di vent’anni fa, beh, fatelo per Dennis Rodman. Di gran lunga il principale candidato ad un’immaginaria palma per il miglior attore non protagonista, Dennis in meno di dieci ore di video è tutto: il folle, il cattivo, l’uomo vinto dalla sua stessa fama, il ragazzo che non riesce a liberarsi dal suo passato ma anche e soprattutto l’atleta capace di azioni al limite del sovrannaturale. Dennis è la storia di uno come noi (oddio, forse un po’ più matto) che arriva in alto con la forza ma che non si allontana dal suo modo di essere.
Barack Obama. Chiudiamo così, con il nome del primo presidente di colore della storia degli Stati Uniti d’America. In politica, quando un personaggio famoso “scende in campo” per esprimere il proprio consenso ad un politico, si parla di endorsement. Qui, è accaduto il contrario: Obama ci ha messo la faccia, comparendo in alcune puntate, per confermare che quando si parla di Michael Jordan e dei “suoi” Chicago Bulls si sta sfogliando una delle pagine più gloriose della storia USA del Novecento. E se lo dice lui…
Nota a margine. Vi diamo una settima ragione, ahinoi drammaticamente “fresca”. Guardare The Last Dance significa comprendere che cosa rappresenta il basket per gli USA, anche da un punto di vista sociale. Capirete così perché conta davvero tanto una maglietta indossata da Lebron James con su scritto “I can’t breathe”.